Immigrazione, perché Salvini non attacca Renzi
21 Maggio 2015
L’abbiamo già scritto: il nuovo fenomeno migratorio che investe il Mediterraneo non è lo stesso che ha interessato il nostro paese negli ultimi anni. Non si tratta quindi di regolare in modo più o meno ordinato flussi consistenti ma gestibili di persone che cercano un lavoro, una vita vivibile, ma di subire le conseguenze di una nuova ondata di instabilità prodotta da conflitti in aree che prima avevano, bene o male, un loro assetto. Un fenomeno che non può essere affrontato da una iniziativa solo italiana, e forse nemmeno solo europea, ma che richiede un coinvolgimento lungimirante delle maggiori potenze, in primo luogo l’America di Obama.
Per agire con una certa efficacia sul difficile scacchiere internazionale serve, soprattutto, qualcosa che raramente il nostro paese è in grado di avere: una solidarietà nazionale, la capacità di unirsi di fronte a un pericolo che riguarda gli italiani come popolo e come nazione. E’ successo con il terrorismo, dopo la prigionia e l’assassinio di Moro. Non sembra che stia accadendo adesso, quando ancora nessun evento drammatico si è verificato sul nostro territorio (grazie forse al ministro degli interni e alle nostre forze dell’ordine?) ma c’è un rischio evidente che va fronteggiato. Invece, in particolare da parte della Lega, tutto si riduce a un gioco ripetitivo, quasi ossessivo, che si chiama “dimissioni di Alfano”.
Alfano è il bersaglio che la Lega ha scelto, e che cerca di colpire in ogni occasione, oltre ogni logica e senso del ridicolo. Il fatto che Salvini si guardi bene dallo sfiorare Renzi, la Pinotti, Gentiloni, svela il senso del gioco, e anche l’orizzonte politico in cui si muove la nuova leadership leghista. Un orizzonte assai più ridotto di quello di Bossi, nonostante il vecchio capo fosse saldamente ancorato ai suoi confini padani, e non coltivasse, come Salvini, ambizioni espansive a livello nazionale. Ma la leadership di Bossi aveva un altro respiro, assai meno povero e strumentale.
Si colpisce Alfano perché è concorrenziale nell’area del centrodestra, perché si vuole eliminare dal tavolo l’ipotesi di una destra moderata, di governo. Richiamare i ministri del Pd, e il presidente del consiglio, alle proprie responsabilità, alla Lega non serve. Serve invece convincere gli elettori che la destra moderata è solo subalterna alla sinistra, e che, una volta consumata la lenta agonia del berlusconismo, non c’è alternativa alla Lega. Noi lo ribadiamo: la vera subalternità alla sinistra è quella di Salvini, che non si muove per costruire una forza in grado di competere con Renzi ad un eventuale ballottaggio, e consegnerebbe l’area moderata – da sempre maggioritaria nel paese – a un destino di eterno perdente.