Immunità e riforme, ovvero del fumo e dell’arrosto

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Immunità e riforme, ovvero del fumo e dell’arrosto

30 Giugno 2014

Cosa resterà di tutto questo gran parlare intorno a quel che resta dell’immunità parlamentare? Certamente il rammarico che per aver messo all’asta l’ovvio alla fiera dell’ipocrisia, si siano persi di vista i passaggi davvero importanti della partita delle riforme. Non perché il tema dell’immunità non sia di rilievo: ne va della separazione dei poteri e della loro autonomia. Ma, al contrario, perché nel momento nel quale si prevede che il nuovo Senato concorra a cambiare la Carta, possa eleggere organi costituzionali e sia scelto da una base di legittimazione comune (diretta o indiretta che sia), è talmente ovvio che debba ricadere sotto l’articolo 68 (quel che ne resta), che montarci sopra un caso appare nulla più che un esercizio da anime belle. Si tratta di difendere chi ruba? Neanche per idea. Si tratta, piuttosto, di preservare quel po’ di equilibrio costituzionale che residua dall’ultimo ventennio. Sull’onda di Tangentopoli abbiamo già alterato il sistema di pesi e contrappesi che i padri costituenti avevano attentamente calibrato. Vediamo di non fare altri danni, anche se far danni in certi casi appare politicamente remunerativo.

Il rammarico, dicevo. Il rammarico è che questa insensata baruffa chiozzotta sull’immunità ha distratto l’attenzione dai passi avanti che si sono compiuti sul terreno delle riforme. Con pazienza e silente operosità.

Innanzi tutto, il Senato che verrà fuori dal lavoro della Commissione Affari Costituzionali ha un indubbio pregio: finalmente si capisce a cosa serve. Rappresenta le autonomie nel procedimento legislativo, e fra queste autonomie privilegia la rappresentanza delle Regioni per il semplice fatto che le Regioni, a differenza degli altri enti locali, legiferano. E in questo modo crea dunque quella camera di compensazione che è mancata nello strampalato Titolo V del 2001, che può fortemente limitare il contenzioso tra legislatori davanti alla Consulta, che può dare certezza del diritto ai cittadini e a chi intraprende la tranquillità di poter sapere a quale legge votarsi.

In questo quadro, con l’ottimismo della volontà e la pazienza di chi guarda ai contenuti e non agli accordi in favore di telecamera, noi abbiamo centrato molti degli obiettivi che ci eravamo prefissati per migliorare il testo della riforma: è stato fortemente ridimensionato il numero dei sindaci, non perché meno importanti ma perché i sindaci amministrano e non legiferano; è stato stabilito che Regioni molto diverse per dimensioni e popolosità non abbiano lo stesso numero di rappresentanti ma una delegazione proporzionale agli abitanti; è stato drasticamente ridotto il numero dei nominati dal Quirinale; è stato previsto che, qualsiasi sia il metodo di selezione dei senatori, tutti abbiano la stessa fonte di legittimazione. Nessun “diritto divino”, insomma. Resta aperto il tema di quale debba essere questa fonte di legittimazione: per noi sarebbe preferibile che a eleggere un Senato che ha poteri di revisione costituzionale sia il popolo sovrano, e su questo faremo la nostra battaglia. Non dimenticando, però, che enormi passi avanti sono stati comunque compiuti.

C’è poi il capitolo del Titolo V, meno mediaticamente appetibile ma ancor più importante per le conseguenze che determina sull’efficienza del nostro Stato. Su questo terreno, un testo di partenza già molto avanzato, che in gran parte ha fatto tesoro del lavoro della commissione per le riforme istituita dal governo Letta, creando la camera di compensazione di cui sopra ed eliminando di fatto la materia concorrente fonte di tanta confusione, anche grazie a Ncd si è ulteriormente arricchito di elementi cruciali come la costituzionalizzazione dei costi e fabbisogni standard (la vera leva per rivoluzionare la spesa pubblica in Italia) e la previsione di una clausola di supremazia dell’interesse nazionale che privilegi l’interesse di tutti a fronte di spinte particolari.

Anche in questo caso un miglioramento è possibile, e i sub-emendamenti serviranno proprio a scrivere le norme con più chiarezza e precisione. Noi faremo la nostra parte, col metodo che fin qui ci ha caratterizzato: pochi strepiti e tanto lavoro, guardando con pazienza sempre al bicchiere mezzo pieno. Ci diranno che non ci facciamo sentire abbastanza, ma la verità è che le nostre energie le spendiamo nelle sedi giuste, con la forza degli argomenti, e a tempo debito saranno i risultati concreti a parlare per noi.

Su un punto, invece, intendiamo parlare al Paese e farci sentire forte e chiaro. Riformato il bicameralismo, rimesso a posto il Titolo V, riteniamo che i tempi siamo maturi perché l’architettura istituzionale possa trovare una sua stabilizzazione complessiva. E questo può avvenire soltanto attraverso l’elezione diretta del Presidente della Repubblica. Partirà domani in tutta Italia una raccolta di firme a sostegno del progetto di legge di iniziativa popolare che abbiamo depositato in Cassazione per introdurre il semipresidenzialismo in Italia. Puntiamo a un milione di firme. Non per fare propaganda o buttarla in caciara, ma per presentarci forti della spinta dei cittadini al tavolo della maggioranza di cui facciamo parte, dove contiamo di trovare orecchie più attente di quel che si possa pensare. Avanti tutta!

(Tratto da Huffington Post)