“Immunità, subito il ddl bipartisan per riallacciare il filo tra giustizia e politica”
19 Gennaio 2011
"In un momento in cui si formulano richieste e accuse infamanti, certamente si può chiedere giustizia e soprattutto chiarezza, ma per farlo bisogna prima di tutto occuparsi della condizione del nostro Stato di diritto, della libertà dei cittadini e delle garanzie degli indagati”. Così, durante il dibattito al Senato sulla relazione del Guardasigilli Alfano, il vicecapogruppo vicario del Pdl, Gaetano Quagliariello, si è rivolto all’opposizione. Ecco il testo dell’intervento.
"In un Paese normale ciò che il Ministro Alfano ha comunicato al Parlamento sarebbe la notizia del giorno: tutte le forze politiche se ne rallegrerebbero senza distinzioni, gli operatori della giustizia condividerebbero con il governo il meritato orgoglio, e le forze produttive correrebbero a complimentarsi.
Per la prima volta dopo decenni, infatti, il numero di processi civili pendenti ha avuto un forte decremento, segnando una netta inversione rispetto a un trend disastroso. Per la prima volta dopo decenni, grazie al combinato disposto di riforme incisive e di una coraggiosa opera di razionalizzazione, possiamo sperare che venga presto recisa la zavorra che frena gli investimenti e tarpa le ali alla nostra economia, che soffoca la voglia d’intraprendere, che allontana dall’Italia imprese e capitali produttivi. Senza contare che importanti misure destinate a deflazionare ulteriormente il contenzioso civile non sono ancora entrate a regime e dunque devono ancora produrre i loro effetti.
Si tratta di una notizia importante, e non è la sola. Il Ministro della Giustizia ha dato conto al Parlamento di un anno di silenziosa operosità. Mentre il Paese era stordito dal frastuono delle polemiche e dal ronzio dei controcanti, il governo – con il convinto sostegno e il contributo di questa maggioranza – ha prodotto importanti innovazioni sul piano normativo, e passi da gigante in termini di modernizzazione dei procedimenti e razionalizzazione degli uffici.
Mentre nelle aule di giustizia e nei salotti televisivi si alternavano sedicenti pentiti e nuovi "oracoli" – ieri a Firenze è andata in scena una nuova puntata della fiction -, il centrodestra di maggioranza e di governo, giocando in squadra con le forze dell’ordine e l’autorità giudiziaria, sferrava in termini di leggi e di interventi operativi la più incisiva azione di contrasto alla criminalità organizzata di cui si ha memoria nella storia dell’Italia repubblicana, giungendo tra l’altro a sottoporre il più alto numero di boss mafiosi al 41bis dall’anno della sua introduzione.
Mentre le opposizioni rifiutavano di fare i conti con le ricadute della crisi, imputando al governo l’esigenza di tenere a posto i conti del Paese, il governo, nonostante quella stessa crisi e grazie anche alla razionalizzazione della spesa, ha nominato centinaia di nuovi magistrati e per altrettanti ha bandito concorsi, facendosi altresì carico di rimuovere con misure straordinarie gli impedimenti per la copertura di uffici vacanti e sedi disagiate.
Infine – e mi preme sottolineare questo dato fra i tanti che il ministro Alfano ci ha esposto – il governo ha affrontato l’emergenza carceraria con un’energia e una determinazione che mai il sistema penitenziario italiano aveva conosciuto prima d’ora. A cominciare dal massiccio apporto di risorse umane previsto per la Polizia penitenziaria, dalle nuove strutture edilizie previste dal piano carceri, e dal complesso di interventi normativi per affrontare alla radice il dramma del sovraffollamento, agendo da una parte sul controllo dell’immigrazione clandestina e sui rapporti internazionali, e dall’altra su un più efficace sistema di pene alternative alla detenzione.
Questa è la politica del governo Berlusconi in tema di giustizia, queste le emergenze di cui la maggioranza si sta facendo carico. C’è però un’altra emergenza che in molti vorrebbero far finta di non vedere, nonostante da vent’anni a questa parte gli eventi si siano ciclicamente incaricati di renderla drammaticamente evidente. Un’emergenza per la cui soluzione il Paese si aspetta non solo la determinazione della maggioranza, ma anche il contributo di quanti non vorranno consegnare alle future generazioni una democrazia a sovranità limitata.
All’attuale maggioranza, che da diciassette anni patisce il tentativo di rovesciamento della volontà dei suoi elettori per via giudiziaria; e all’attuale opposizione, che appena due anni fa ha visto concludersi la propria esperienza di governo non solo per la conflittualità interna, ma anche e soprattutto per l’incursione di una Procura di provincia dichiaratamente incompetente ad indagare, e per i bombardamenti di un pm, ora eurodeputato, su cui pende una richiesta di rinvio a giudizio per la disinvoltura con cui ha maneggiato i dati telefonici di parlamentari; a tutti noi, al di sopra e al di là dei polveroni contingenti, spetta l’onere di ricucire quel drammatico strappo tra giustizia e politica provocato nel nostro Paese da una frettolosa ed emotiva rottura dell’equilibrio costituzionale consumatasi con la revisione dell’articolo 68 sull’onda di Tangentopoli. Se iniziano a parlarne anche eminenti magistrati – cito fra tutti il presidente della Corte d’Appello di Bari, Vito Marino Caferra -; se ne parlano anche autorevoli politici della sinistra come Giuliano Pisapia, il tempo è maturo perché i rappresentanti del popolo si assumano le proprie responsabilità.
Signor presidente, colleghi, signor Ministro, se si mettono da parte le strumentalizzazioni e ci si rende impermeabili alle sirene del giustizialismo e alla tentazione di imboccare improvvide scorciatoie, non sfuggirà a nessuno la deformazione che negli ultimi anni ha cambiato i connotati del nostro Stato di diritto. L’accrescersi del potere "creativo" della giurisprudenza ha infatti infranto il già fragile legame che univa il potere giudiziario al circuito della sovranità popolare, ovvero la esclusiva soggezione del magistrato alla legge dello Stato.
Con il tempo questo meccanismo ha trasformato l’ordine giudiziario in un potere di fatto irresponsabile. In campo penale gli spazi di discrezionalità sono diventati arbitrio, e la spettacolarizzazione della giustizia unita all’insopportabile lentezza dei processi ha fatto sì che il contraddittorio fra le parti, la formazione della prova e il giudizio finale fossero schiacciati sotto il peso dei fuochi d’artificio preliminari, dell’applicazione disinvolta di misure preventive, dell’abuso di strumenti di indagine altamente invasivi della sfera intima delle persone; sotto il peso delle indagini, delle accuse unilaterali, degli indizi e dei meri sospetti tramutati in condanna preventiva.
Con questo sistema si sono fatti fuori assessori regionali dei cui processi si è persa ogni traccia; si sono abbattuti ministri mai neppure iscritti sul registro degli indagati. Con questo sistema si vorrebbe ora, e per l’ennesima volta, instaurare nuovi cicli politici che alla democrazia del popolo sostituiscano la volontà di una elite di ottimati.
Siamo all’emergenza democratica, e non da oggi. Colleghi dell’opposizione, delle opposizioni vecchie e nuove, non vi illudete che l’uso politico della giustizia possa essere uno strumento di cui avvantaggiarvi oggi a danno del centrodestra senza pagarne lo scotto in futuro. Senza scomodare Pietro Nenni e il suo celebre ammonimento sul più puro che ti epura, basta osservare quale conflitto intestino stia dilaniando il partito giustizialista per eccellenza.
Assumiamoci tutti le nostre responsabilità. Sforziamoci ogni giorno di produrre una legislazione di qualità, che limiti i margini di confusione e di arbitrio. Valorizziamo i risultati raggiunti, come quelli che il Ministro Alfano ha sottoposto alla nostra attenzione. E sulla scia dei nostri Padri costituenti, ripristiniamo l’equilibrio spezzato, per restituire al popolo la sua sovranità e alla giustizia la sua autonomia, anche rispetto al tentativo di una minoranza rumorosa di assurgere a ruoli impropri.
C’è qui in Senato un disegno di legge bipartisan, proposto dal collega Compagna e dalla senatrice del Pd Franca Chiaromonte, e sottoscritto tra gli altri dal senatore D’Alia. Esso prevede che l’articolo 68 della Costituzione torni ad assomigliare a ciò che era in origine, consentendo alla Camera di appartenenza di disporre entro un certo termine la sospensione di un eventuale processo a carico dei rappresentanti del popolo, rinviandone il decorso al momento in cui sia cessato il mandato democratico. Ripartiamo da qui, senza cedimenti al giustizialismo. Sarebbe il modo migliore per onorare quel patto costituente al cui rispetto ogni giorno ci sentiamo richiamare".