In Abruzzo la mia campagna elettorale era iniziata tutta in salita

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In Abruzzo la mia campagna elettorale era iniziata tutta in salita

28 Febbraio 2013

E’ la mia terza campagna elettorale per le politiche. Le altre due hanno avuto come terreno di battaglia la Toscana: regione nella quale ero arrivato quasi per caso, al seguito di Marcello Pera e di un impegno per l’IMT di Lucca. Nel corso della legislatura appena conclusa avevo lavorato per tornare a casa, in Puglia, gettando le reti per anni e anni. Avevo, però, mantenuto rapporti forti anche con l’Abruzzo, dove nel 2008 ero approdato, inviato dal partito, per mettere un po’ d’ordine in vista di una elezione regionale nella quale poi abbiamo vinto. Non è la mia regione ma è una regione che conosco e amo. Sicché, quando un sabato mattina il Segretario Alfano mi ha chiesto di candidarmi lì come capolista, in fondo non mi è dispiaciuto. Quanto meno – ho pensato – andrò tra amici.

Presto ho dovuto comprendere che le cose sarebbero state più complesse. I giorni precedenti alla pubblicazione delle liste sono stati giorni amari. Brutto clima, come impone una legge elettorale che implica scelte fatte in poco tempo e da un tavolo chiamato ad assumere poteri di vita e di morte sulle persone. Il sospetto, lo spiffero, la maldicenza messa in circolo ad arte hanno investito anche me e i miei amici più prossimi. Ero consapevole di aver tenuto un comportamento limpido e lineare. Ero rassicurato dal dialogo con il Presidente che non si è mai interrotto. Avevo un accordo di fondo con il Segretario. Eppure, mentirei a me stesso se non confessassi di aver patito quei giorni carichi di veleni.

La prima pubblicazione delle liste abruzzesi ha peggiorato le cose. Non è stata possibile, infatti, una riflessione preventiva. Quando la domenica mattina da Palazzo Grazioli è arrivata al partito la prima formulazione delle liste, io stavo correndo una 10 kilometri: un po’ per scaramanzia, un po’ per scaricare la tensione. Erano un delirio, senza un capo né una coda. Filippo Piccone e Paolo Tancredi provano a contattarmi. Il mio caposcorta, al quale avevo lasciato il cellulare, dice loro che sto correndo. Apriti cielo: prendono il fatto come sintomo d’insensibilità. Tanto più che la mia posizione era assicurata, in testa alla lista del Senato dopo Berlusconi.

Ovviamente, dopo una doccia e una ripresa di contatto in grado di far trasparire la buona fede la situazione cambia. Si lavora per introdurre un po’ di raziocinio nelle scelte, che tenga conto delle diverse realtà locali e dell’impegno espresso nel lavoro parlamentare. Il risultato, però, sfugge a un’analisi attenta e meditata. Sicché – complici le divisioni interne – Pescara resta fortemente penalizzata.

Io, nel corso della notte, ricevo una ulteriore delusione umana e politica. Quando si stabilizzano le scelte operate dal tavolo nazionale (che riguardano i primi tre nomi rispettivamente di Camera e Senato), chiamo Carlo Masci, l’assessore al bilancio della regione, prezioso collaboratore di Gianni Chiodi e animatore di “Rialzati Abruzzo”. Con Carlo c’è un rapporto d’amicizia che va anche oltre la politica. Nel 2008 ho fortemente voluto l’accordo con la sua lista e, in seguito, ho sempre difeso l’alleanza strategica con questa esperienza territoriale.

So che Carlo è deluso. Avrebbe voluto un apparentamento al Senato tra il PdL e “Rialzati Abruzzo” ma, contemporaneamente, occupare lui il secondo posto nella lista del PdL. Operazione ardita: le sue schiere, private del loro capo, sarebbero rimaste senza motivazioni. Punto sul fatto che il mio approdo in Abruzzo modifichi il suo atteggiamento. Gli chiedo di correre al mio fianco, al quarto posto della lista del Senato, in una gara difficile ma non impossibile da vincere: qualora si fosse arrivati primi, in virtù del premio di maggioranza previsto da questa legge, sarebbe stato automaticamente Senatore. Dopo anni di leale collaborazione, mi aspetto una risposta positiva. In politica, a volte, è necessario subire pur di tenere vivi legami e prospettive. I risultati e la moralità di fondo delle scelte si vedono sempre alla distanza, nel tempo più lungo.

La conversazione è lunga e serrata. Si prolunga per parte della notte. Ma è infruttuosa. Non riesce mai a guadagnare un orizzonte più ampio del territorio e delle sue dinamiche. Sicché rimostranze fondate, addirittura sacrosante, rischiano di scadere nel localismo, perdendo di vista la vera posta in gioco di queste elezioni. Tento fino alla fine ma vanamente. Il che contribuisce a far smarrire una considerazione più attenta sulla composizione delle nostre liste. Il lunedì a ora di pranzo Carlo mi comunica con un sms di aver deciso di presentare la lista “Rialzati Abruzzo”, autonoma dalla coalizione di centro-destra. Ci tiene a salvaguardare i rapporti personali con parole di rinnovata amicizia. Non posso fare a meno, comunque, di dirgli quel che penso: quella scelta è un errore politico, un mero dispetto che avrebbe riverberato le sue conseguenze sul lungo periodo, e anche un atto di ostilità nei miei confronti.

Al di là di ogni considerazione ulteriore e di ogni attestato di stima, un fatto resta insuperabile: la prima volta che mi cimento direttamente in Abruzzo in una competizione elettorale, colui che è ritenuto il mio principale riferimento politico su Pescara mi volta le spalle e mi presenta contro una lista che drena potenziali voti di centro-destra per gettarli in un metaforico cestino dei rifiuti. Alla notizia, dalla parte del Pd avranno sicuramente brindato!

Al posto di Carlo in quarta posizione al Senato si presenta Federica Chiavaroli, che dimostra generosità e intelligenza politica. La situazione, però, resta critica e il rischio del disimpegno di massa elevato. La mattina successiva alla consegna delle liste mi chiama Raffaele Delfino: un pezzo di storia della destra abruzzese. In sostanza mi dice: “Non c’è tempo da perdere, devi metterci la faccia. Vieni a Pescara, convoca i giornalisti, spiega come sono andate le cose e assumi l’impegno di rappresentare la città”. Ne parlo con Filippo Piccone e Gianni Chiodi. Decidiamo, il giorno dopo, di convocare una conferenza stampa presso la sala della provincia e che ci sarei andato da solo, per rafforzare il senso di un impegno.

La conferenza stampa va bene ma, anche metaforicamente, descrive una campagna tutta in salita. Il Messaggero titola “La solitudine dei numeri secondi”, riferendosi alla mancanza – in realtà voluta – di altri interlocutori dietro al tavolo dei relatori. Io, senza ipocrisie, riconosco gli errori commessi nello stilare le liste. Prendo l’impegno di una campagna d’attacco e, soprattutto, di arrivare alla fine con un partito unito. Confesso: allora non sapevo se la scommessa l’avrei vinta o no.

Dopo un pranzo con il sindaco, prendo anche accordi per l’apertura di un grande comitato elettorale al centro della città. Le opportunità non mancano di certo. A Pescara, a causa della crisi, i negozi che hanno cessato l’attività si sprecano e, per ovviare alla mancanza d’impatto di candidati locali, un luogo d’aggregazione e di riferimento risulta indispensabile. Lo allestiamo con una grande foto sulla vetrina esterna e invitiamo la stampa all’inaugurazione. E’ mercoledì. Sono trascorsi solo due giorni dalla presentazione delle liste. Parte così, tra un motivo di contrarietà e un atto d’incoscienza, una campagna elettorale non lunga ma difficile, che non promette niente di buono. (Fine della prima puntata, continua…)