
In Canada i conservatori vincono ma non festeggiano

22 Ottobre 2008
La tradizione del bipartitismo perfetto di stampo britannico richiede che il leader del partito sconfitto alle elezioni si dimetta non appena i risultati siano stati ufficialmente resi noti. In Canada, dove si è votato martedi 14 ottobre, il perdente Stephane Dion ha nicchiato per un po’, aspettando qualche giorno prima di abbandonare. Ma alla fine ha rispettato questa prassi: il leader dei liberali ha annunciato che lascerà il partito anche se resterà in carica fino al Congresso previsto per l’inizio del 2009, quando sarà eletto il suo successore. L’esitazione di Dion ha comunque una spiegazione. Da tempo il Canada non è più un paese da bipartitismo perfetto, anche se della tradizione britannica ha mantenuto l’uninominalismo assoluto. Chi vince nella sua circoscrizione, anche per un solo voto, va al Parlamento di Ottawa. A chi perde non resta niente.
Quando di partiti ce n’erano soltanto due, il sistema consentiva al neo-primo ministro di governare per cinque anni con una maggioranza assoluta e una leadership quasi dispotica. Oggi non è più cosi. I governi di coalizione, o che devono asssicurarsi l’appoggio esterno, sono diventati una realtà. Ecco perché Dion, il grande perdente, ha tardato a dimettersi. Ecco perché il grande vincitore delle elezioni, il conservatore anglofono Stephen Harper, non esulta. Aveva indetto un’elezione a sorpresa a soli due anni dalle ultime elezioni federali (2006) per assicurarsi la maggioranza assoluta, ma non ce l’ha fatta. Il Partito Conservatore ha ottenuto 143 seggi (+19, 38% del voto popolare), ma ce ne volevano 155 (su 308) per avere la maggioranza assoluta in Parlamento.
La storia del Partito Conservatore è istruttiva. Dopo gli anni d’oro di Brian Mulroney (primo ministro 1984-93), contemporaneo di Ronald Reagan e di Margaret Thatcher, il partito è praticamente sparito dalla circolazione per poi rinascere dopo il 2000 grazie alla spinta di un "partito populista" legato alle province dell’Ovest (il Reform Party, poi Canadian Alliance), trattato in un primo tempo sia dai liberali che dai conservatori alla stregua di un gruppo folkloristico-secessionista. Ma è stata proprio quell’unione politica tra nuovi radicali dell’Ovest e antichi conservatori del Centro a rendere possibile la saldatura di tutta la destra canadese e a portare Harper alla prima vittoria già nel 2006. "Sounds familiar," direbbe il primo ministro Harper. A me ricorda tanto la saldatura Forza Italia-Lega Nord che c’è qui da noi, anche se lì la destra di Alleanza Nazionale non esiste.
Contemporaneamente il Partito Liberale, che ha ottenuto 76 seggi (-27, 26%) è andato in caduta libera. Si è fatto la fama di partito corrotto. Non è mai stato amato nell’Ovest. La provincia francofona del Québec (la patria del celebre Pierre Elliott Trudeau, primo ministro 1968-79, 1980-4) preferisce rivolgersi ai separatisti o ai loro eredi. Ma soprattutto il Partito Liberale non ha alcuna idea nuova in nessun campo. A sinistra corre dietro a ecologisti, minoranze etniche, temi etici e sessuali, multiculturalismo, e a qualsiasi cosa appaia, almeno sulla carta, una "buona causa". A destra predica il pareggio di bilancio, competitività di impresa, e limitato interventismo governativo (noi lo chiameremmo "statalismo") nell’economia. "Déjà vu", direbbe lo sconfitto Dion. A me ricorda tanto il nostro Partito Democratico, se questo non avesse alle spalle la storia del Partito Comunista.
In effetti, uno degli elementi più tipici di queste elezioni canadesi è che i programmi politici dei cinque partiti maggiori erano quasi sovrapponibili, al di là delle etichette e degli slogan elettorali. Un esempio? Il programma del Partito Conservatore dichiarava di voler spendere (o "investire") 149 milioni di dollari all’anno nei prossimi quattro anni, il Partito Liberale 147 milioni. Un altro? Entrambi i partiti erano favorevoli al ritiro delle truppe canadesi dall’Afghanistan, ma gli uni entro un anno, gli altri entro tre. Nessuno dei due li voleva via subito. Insomma, in Canada si naviga a vista, e si naviga al centro. E al centro naviga molto meglio il Partito Conservatore di Harper, il quale infatti ha fatto una campagna all’insegna dell’understatement e della continuità.
Il voto popolare lo ha premiato. In primo luogo, il fatto che soltanto il 59% degli aventi diritto abbia votato (una percentuale tra le più basse mai registrate) è segno che, fondamentalmente, la gente tutta questa grande esigenza di cambiamento non l’aveva. In secondo luogo, il Partito Conservatore ha ottenuto l’assenso di quasi il 40% dei votanti, che non è proprio poco. Il Partito Conservatore ha perfino ottenuto importanti riconoscimenti dal cosiddetto voto proveniente dalle minoranze etniche, così importanti in Canada, e che erano fino al 2006 un tradizionale serbatoio liberale. Semmai, è stata la profonda crisi finanziaria mondiale, che ha vissuto i suoi giorni più cupi proprio nei giorni delle elezioni federali, a sfavorire Harper. È la storia canadese infatti a dire che, almeno dal 1960 a oggi, il primo ministro uscente è stato penalizzato dalla concomitanza di elezioni e recessione economica.
Ma se in Canada non c’è più bipartitismo perfetto, quali altre forze elettorali hanno partecipato alle elezioni federali del 14 ottobre? Una va certamente tenuta presente per il futuro. Il Partito Verde ancora una volta non ha ottenuto nemmeno un seggio al Parlamento, ma ha comunque goduto di un lusinghiero 7% dei voti. Si direbbe che l’ecologismo gridato di Dion e di Jack Layton, il leader NDP, ha in realtà portato voti a un gruppo "alternativo" che incarnava molto meglio esigenze di tipo ideologico-radicale. Un’altra forza consistente è quella dei socialdemocratici del New Democratic Party (37 seggi, +8, 18%), un gruppo che da decenni incarna l’antica tradizione sociale canadese (sanità pubblica, sistema pensionistico, etc.), ma che da altrettanti è ferma su quelle percentuali di nicchia (tipo Partito Socialista Italiano dei tempi di Pietro Nenni o di Bettino Craxi in Italia). I suoi seguaci sono soprattutto nell’Ovest. I Verdi potrebbero in futuro rosicchiare voti proprio allo NDP, visto che entrambi i partiti pescano nello stesso elettorato.
E finalmente c’è la vera terza forza canadese, quel Bloc Québécois che di separatista non ha più niente tranne l’uso della lingua francese, ma che comunque impedisce agli altri di dragare voti dalla provincia del Québec, un serbatoio di voti decisivo al pari di quello dell’altra grande provincia canadese, l’Ontario. Insomma, il Bloc, partito etnico per eccellenza, non esce dal Québec, ma può impedire al resto del paese di muovere in un senso o nell’altro. Questa volta, il Bloc (50 seggi, -1, 10%) ha impedito al Partito Conservatore la vittoria assoluta.