In Europa il Natale è sotto assedio

Banner Occidentale
Banner Occidentale
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

In Europa il Natale è sotto assedio

29 Dicembre 2017

Le luci del Natale non si sono ancora spente. I colori e i bagliori della festa appena trascorsa continueranno ad abbellire case, strade e negozi, come sempre, almeno fino all’Epifania. In alcune città d’Europa, la magia natalizia è invece finita proprio sul nascere. Talvolta, anzi, non è neppure cominciata. A smorzare la gioia, per quanto sopita, che da sempre accompagna l’attesa del 25 dicembre, l’arrivo di Gesù Bambino (per i non credenti, Babbo Natale o Santa Claus, comunque lo si voglia chiamare) quest’anno non è stato quel solito consumismo che stordisce, distrae, confonde. Ma il politicamente corretto che, volutamente, ha svuotato di senso i segni e i riti del Natale per non offendere la sensibilità dei nostri “vicini di casa” musulmani.

Amsterdam, Bruxelles, Londra, Monaco: in ognuna di questa città, e in chissà quante altre, il termine “Natale” è stato – letteralmente – bandito, cancellato, depennato dalla dicitura di tutte quelle piccole o grandi iniziative locali, come i mercatini, tradizionalmente organizzate proprio durante il periodo natalizio. Ogni riferimento lessicale alla natività, evidentemente troppo scomodo e pericoloso, è stato sostituito con un parole e aggettivi che, genericamente, richiamano l’inverno, la stagione che fa da cornice a questo periodo dell’anno. In Scozia, su iniziativa del ministero dello sviluppo internazionale, è stato addirittura istituito un fondo ad hoc per sostenere i “festival invernali” delle minoranze etniche locali. Poco importa che proprio a dicembre, giusto per fare un esempio, cinesi, indiani o musulmani non abbiano alcuna ricorrenza speciale da festeggiare (come i cristiani): qualcosa, dopo tutto, si può sempre inventare.  

In una scuola elementare danese, esattamente a Gribskov, piccola cittadina a nord di Copenaghen, quest’anno, ancora, hanno pensato bene di annullare la cerimonia religiosa che, da generazioni, segna l’inizio delle vacanze natalizie. La direzione – è la spiegazione ufficiale – lo ha fatto per non offendere la sensibilità degli alunni musulmani che frequentano l’istituto. Peggio è andata in una scuola di Luneburgo, in Germania, dove, a quanto pare, la tradizionale festa di Natale è stata “declassata” a libera attività del pomeriggio dopo la bagarre scatenata dalla famiglia di un bambino musulmano ostile agli stornelli natalizi canticchiati in classe.

La cronaca di questi giorni è piena di casi simili a quelli appena descritti, registrati in ogni angolo d’Europa, dalla Norvegia alla Spagna. L’attentato al Natale del politicamente corretto non ha risparmiato nemmeno l’Italia. Dopo il volantino con cui l’istituto Italo Calvino di Milano ha invitato alunni e famiglie alla “Festa delle Buone Feste” (che fine ha fatto il Natale?)  c’è stata anche la rimozione forzata di un albero di Natale (di cartone) da una sala comunale che, a Bolzano, avrebbe dovuto ospitare, giusto per qualche ora, l’incontro di un’associazione islamica.

Quelli che abbiamo raccontato sin qui possono sembrare solo piccole storie di incomprensione multiculturale, lievi fratture tra mondi semplicemente diversi sanabili senza dolore nel giro di qualche giorno. Ma sarà davvero così? Può il Natale cristiano sopravvivere nelle nostre comunità se diventa, di per sé, proibitivo anche solo pronunciarne il nome? Un po’, forse, dovremmo preoccuparci.