In Europa si rafforza l’asse franco-tedesco. E l’Italia sta a guardare
25 Giugno 2007
La crisi istituzionale apertasi con il doppio «no» di Francia e Olanda del 2005 sembra essersi conclusa sabato 22 giugno a Bruxelles con un esito paradossale: l’Europa a due velocità è oramai una realtà imprescindibile. È stato Tony Blair, primo vero vincitore del vertice, a stabilirlo e l’asse franco-tedesco Merkel-Sarkozy (veri vincitori in seconda) a ratificarlo. Al di là dei complessi tecnicismi (non senza sarcasmo il premier lussemburghese Juncker ha dichiarato «Questo è un trattato semplificato davvero molto complicato») e senza sottovalutare gli esiti raggiunti (di particolare rilevanza la Presidenza con durata di due anni e mezzo e l’aumento delle materie con voto a maggioranza qualificata) la prima grande novità riguarda proprio Londra e l’aver ottenuto ciò che desiderava da tempo: una sorta di status a parte che le permetterà di prendere ciò che le interessa dalla Ue e non partecipare al resto. Opting out, cioè decidere di non partecipare, nelle materie in cui Londra non vuole cedere sovranità a Bruxelles, in primis cooperazione giudiziaria, diritti sociali, gestione dei flussi migratori.
Fin qui, verrebbe da dire, nulla di particolarmente nuovo. Il tutto potrebbe essere liquidato con il solito «euroscetticismo della perfida Albione». La questione si fa più interessante se si nota che il risultato è stato ottenuto grazie al via libera concesso dalla coppia franco-tedesca, saldamente ancorata ad una visione di rilancio realista e pragmatico dell’Europa. In particolare la coppia Merkel-Sarkozy ha mostrato di aver ben chiara la lezione dell’evoluzione storica dell’integrazione europea fondata sull’asse Parigi-Bonn e di essere ora in grado di riprendere la riflessione laddove l’avevano interrotta Kohl e Mitterrand, mettendo tra parentesi i passi maldestri della coppia Chirac-Schroeder. L’atteggiamento benevolo di Merkel nei confronti delle richieste di Londra non è altro che il corollario della discontinuità in politica estera rispetto al suo predecessore socialdemocratico. L’Europa di Merkel non si vuole costruire in funzione anti-americana e anti-anglosassone e quindi si limita a prendere atto della natura ibrida del rapporto tra Londra e la Ue. Contestualmente a questa discontinuità si può notare quella del neo-eletto Sarkozy. Il suo sforzo di mediazione con Varsavia è in totale discontinuità con l’approccio sprezzante che il suo predecessore Chirac aveva mostrato nei confronti dei nuovi Paesi membri dell’ex blocco sovietico. Ebbene prendendo atto dell’alterità storica della Gran Bretagna e chiudendo simbolicamente il processo di allargamento con l’Est europeo (per altro alla base della necessità di sostituire il Trattato di Nizza) Merkel e Sarkozy inaugurano un’Europa, che avrà nuovamente a Parigi e a Berlino il suo cuore pulsante.
Si è detto all’inizio di un’Europa a due velocità e nelle reazioni sulla stampa nazionale il Presidente del Consiglio Prodi e il suo Ministro delle Politiche Comunitarie Bonino (del quale si erano smarrite le tracce) fanno ampio uso di questo termine, riferendosi ad un nucleo duro di Paesi pronti a ripartire con una serie di cooperazioni rafforzate. In particolare il Presidente Prodi parla di una possibile intesa con Sarkozy per il varo di una reale politica economica in seno all’Eurogruppo, dimenticandosi però di aggiungere che su questo punto la leadership è nelle mani di Parigi, da molti mesi impegnata nel suo braccio di ferro sul «controllo politico» della Bce e di Berlino, vera custode dell’autonomia di Francoforte. Anche nel richiamo alle cooperazioni rafforzate nell’area Mediterranea (Prodi parla di un’intesa di massima con Zapatero) forse volutamente ci si scorda che l’Unione euro-mediterranea è una formula lanciata da Sarkozy e difficilmente il nuovo inquilino dell’Eliseo vorrà lasciare il controllo a Roma. Insomma in questa Europa a due velocità Roma sembra destinata a non occupare la cabina di regia.
Il riemergere del volontarismo franco-tedesco non può nascondere alcuni passi indietro oggettivi che emergono dal vertice di Bruxelles. Prima di tutto il silenzio sul tema chiave dei confini della Ue. Anche simbolicamente concluso l’allargamento a est con la mediazione ottenuta dalla Polonia sul sistema di voto, poco o nulla si è detto sulla «capacità di assorbimento» della Ue e su quei criteri di Copenaghen non più sufficienti per regolare futuri ingressi. Non si pensa soltanto alla Turchia, ma soprattutto alla Serbia, passaggio fondamentale per la risoluzione della questione Kosovo.
In secondo luogo due parole devono essere spese sui metodi. La Convenzione europea, lo stesso Trattato costituzionale e per certi aspetti anche la scelta francese di sottoporlo a voto referendario erano stati l’emblema dell’apertura delle istituzioni europee al giudizio e al controllo delle opinioni pubbliche nazionali. I summit notturni di Bruxelles e la diplomazia bilaterale delle stanze chiuse segnano un arretramento di questa logica o perlomeno la presa d’atto che, anche da questo punto di vista, l’accelerazione era stata eccessiva.
L’Europa delle cooperazioni rafforzate proprio su questi due punti è chiamata a mostrare i primi concreti risultati, sfruttando la situazione fotografata dall’inchiesta eurobarometro della primavera del 2007, con i tre principali indicatori dell’attitudine dei cittadini europei rispetto alla Ue (sostegno all’appartenenza, percezione dei vantaggi che derivano da tale appartenenza e immagine della Ue) tutti superiori al 50% e con incrementi da 4 a 6 punti percentuali rispetto ai dati dell’inverno 2006. Merkel e Sarkozy hanno mostrato di possedere flessibilità e dinamismo e di aver compreso che nel XXI secolo non vi è alcuno spazio per l’Europa utopia, così abbondante negli interventi degli attuali dirigenti politici italiani. Devono altresì dimostrare di aver ben chiaro che, senza sostegno popolare, qualsiasi edificio democratico è destinato inevitabilmente ad implodere.