In futuro la politica sarà sempre più “internettiana” (almeno sembra)

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In futuro la politica sarà sempre più “internettiana” (almeno sembra)

03 Ottobre 2010

Internet e la tecnologia sono diventati potenti fattori di trasformazioni per la politica. Leaders, partiti, elezioni, istituzioni, opinione pubblica – le sfere della politica sono coinvolte in radicali processi di cambiamento indotti dal continuo sviluppo del web. Perciò si rende indispensabile mettere a fuoco queste dinamiche con una prospettiva multidisciplinare. E’ lo spirito del Personal Democracy Forum (PdF), un pensatoio online globale che ogni anno organizza una conferenza per confrontarsi sul rapporto tecnologia-politica. Per esaminare questi temi e anche in vista della conferenza europea del Personal Democracy Forum, prevista a Barcellona il 4 e 5 ottobre prossimi, abbiamo parlato con Antonella Napolitano, editor del blog PdF Europe. Consulente di comunicazione e community manager, si occupa da diversi anni degli aspetti sociali nell’uso delle nuove tecnologie, in politica e non solo.

Iniziamo dal tema centrale del PdF Europe 2010: il ruolo politico di internet in un contesto europeo caratterizzato dalla duplice crisi delle coalizioni di governo e dell’economica. Cosa può fare il web in questa congiuntura?

La crisi economica è proprio un tema che ci ha molto colpito quando abbiamo iniziato a organizzare la seconda edizione di PdF Europe. Lo scorso anno l’analisi partiva dall’onda lunga dell’elezione di Obama, diversi ospiti venivano dall’America e  avevano lavorato alla campagna. Quest’anno c’era naturalmente l’esigenza di una prospettiva diversa. “Europea” si potrebbe dire, ma la verità è che i contesti nazionali sono talmente diversi che l’unica cosa che si può dire abbiano in comune è proprio la crisi, adesso. “Fare di più con meno” è la traccia che ci ha guidato nella costruzione del programma: sono sempre più spesso i cittadini e i gruppi di cittadini a prendere l’iniziativa, a usare la tecnologia per raggiungere obiettivi di vario genere, soprattutto in termini di trasparenza. La politica professionale, nei partiti e nelle istituzioni, rincorre, di fatto.

Dal suo punto di vista, come vengono utilizzati internet e i nuovi media da parte dei governi europei? Quali sono le “best practices” e quali invece sono le lacune più gravi?

Come dicevo, i governi “rincorrono” l’iniziativa dei cittadini. Sempre più spesso ci sono iniziative delle istituzioni che cercano il dialogo e richiedono idee ai cittadini. Non sempre sono condotte in modo efficace e molte volte sono “di facciata”, ma penso sia un segnale importante, che il concetto di ascolto e partecipazione del cittadino siano entrati nel vocabolario dei governi, lo dico anche per la mia esperienza di consulente di comunicazione politica. Certo, per contro, il rischio è che questo approccio porti a cavalcare il populismo: sono dell’idea che l’ascolto dei cittadini sia importante, specie in un tempo in cui la politica sembra sempre più “staccata” dalla società e dalle sue esigenze, tuttavia questa deve essere una traccia per l’azione di chi fa politica e amministra di professione, non la guida (magari a scopo elettorale). C’è ancora poca capacità di trovare la giusta modalità di fondere il tutto.

Può farci qualche altro esempio?

Come tendenza più interessante c’è quella del lavoro sui dati: sempre più spesso i governi iniziano a mettere online dati legati alla cosa pubblica, in formati che li rendano riutilizzabili in varie forme e per vari scopi. Anche qui l’origine è negli Stati Uniti, dall’amministrazione Obama che due anni fa ha creato data.gov. In Europa l’iniziativa più interessante in questo senso è quella del governo inglese,  data.gov.uk, coordinata da Tim Berners-Lee, l’inventore del World Wide Web. In questo caso, voglio anche sottolineare che l’iniziativa è nata sotto il governo Labour di Gordon Brown e prosegue sotto quello conservatore di David Cameron: la dimostrazione che una buona idea ben realizzata deve (e dovrebbe essere) trasversale rispetto alla politica, cosa che non sempre avviene.

Quali sono le principali tendenze nell’uso politico del web da parte dei cittadini?

Il valore di avere a disposizione dati in un formato aperto è cruciale per i cittadini che li utilizzano per creare applicazioni e servizi che danno benefici circoscritti e immediati e li mettono a disposizione di tutti. Nella nostra società il possesso di informazioni è fondamentale, la capacità di utilizzarle nel modo più utile ed efficace lo è ancora di più, la scelta di metterle a disposizione di tutti è una tendenza sociale che può creare nuove forme sociali di collaborazione e crescita: il civic hacking è una realtà che non possiamo ignorare.

Come si è trasformata la leadership politica nell’età di internet? La televisione creava leader “telegenici”. Ora i nuovi leader devono essere online e “conversazionali”, con profili aggiornati su Facebook e Twitter? Secondo lei, chi sono i politici europei che più usano il web? Ci sono differenze tra destra e sinistra oppure tra uomini e donne?

Se parliamo di numeri, il politico europeo più popolare su Facebook, la cui pagina ufficiale conta circa 270mila fan, è Nichi Vendola. Al di là dei numeri, però, Vendola sta facendo un grosso lavoro in termini di utilizzo del web, e non è l’unico. Sempre più politici usano la Rete in Europa, con modalità molto varie, difficile individuare delle tendenze, anche se i politici di sinistra sembrano più sensibili. Non ho dati precisi sull’utilizzo di genere, ma devo dire che tra i casi recenti più interessanti ci sono diverse donne. Ne cito due, tra molte: Stella Creasy, 33enne neo-eletta al Parlamento inglese, che ha usato Twitter in modo molto intelligente in campagna elettorale e continua a usarlo per comunicare con il suo elettorato, e Neelie Kroes, commissario europeo che si occupa di Rete ed economia digitale, e che sta iniziando a utilizzare i social media in modo molto efficace e apprezzato.

Come si sono evolute le campagna elettorali con l’impiego sempre più diffuso del web?

Le tendenze sono quelle emerse nella campagna elettorale USA, non ci sono state sostanziali innovazioni e, anzi, l’idea di una campagna “alla Obama” ha avuto molti seguaci ma nessun risultato particolarmente rilevante. Persino le elezioni inglesi non hanno fatto segnalare elementi particolarmente rilevanti dal lato dei candidati, se non a livello locale, come nel caso già citato di Creasy. Interessante è invece vedere sia l’impatto della Rete nel ciclo informativo in tempo di elezioni (durante quella inglese, Twitter si è imposto nel panorama mediatico), sia nel dare voce a gruppi di interesse che prima non avrebbero avuto analogo spazio. Senza dimenticare, ovviamente, che al tempo di Internet, un leader politico è costantemente sotto scrutinio e un errore può costare carissimo quando basta una ricerca su Google (magari un video su Youtube) per riproporlo all’attenzione del pubblico.

Qual è la sua analisi sul rapporto tra web e politica in Italia? Come si pone l’Italia nel contesto europeo del web?

Devo dire che siamo piuttosto indietro, in termini di consapevolezza, più di tutto. Certo, ci sono problemi strutturali rilevanti, come quello del digital divide, che impediscono un accesso reale alla Rete – si pensi alla diffusione nei paesi del Nord Europa e in particolare alla Finlandia, dove da qualche mese l’accesso alla Rete è un diritto, stabilito per legge. Se pure ci sono iniziative di ascolto e coinvolgimento di cittadini, e ce ne sono, manca ancora consapevolezza a livello di sistema, mancano forme reali di coinvolgimento o anche solo di apertura. Basti pensare al discorso dei dati di cui sopra: non esiste un’iniziativa a livello nazionale, anche se ci sono i primi casi a livello locale, come quello della regione Piemonte che sta iniziando a mettere a disposizione dati sull’istruzione e sull’immigrazione. Un timido inizio che crescerà e a cui dare attenzione, un esempio che però non può restare un caso isolato. Il livello di conflitto della politica non aiuta, così come la tendenza a “ricordarsi della Rete” solo in tempo di campagna elettorale. Ci sono alcune esperienze che iniziano a superare quest’ottica, anche se le cose più interessanti restano quelle che avvengono per iniziativa dei cittadini.