In Georgia trovato l’accordo ma il vero scontro sarà sulle trattative di pace

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In Georgia trovato l’accordo ma il vero scontro sarà sulle trattative di pace

13 Agosto 2008

La Georgia sotto occupazione russa. Non è uno scenario tratto dalle pagine di storia sovietica ma la fotografia scattata oggi. In meno di una settimana di aspri combattimenti l’equilibrio delle forze ha stravolto il campo di battaglia trasformando la Georgia, che voleva stroncare il separatismo dell’Ossezia meridionale, nella preda involontaria dell’aggressione russa. Oggi uno spiraglio sembra profilarsi all’orizzonte, grazie alla mediazione del presidente francese Sarkozy, un accordo preliminare raggiunto tra il presidente russo e quello georgiano, che prevede l’immediata cessazione dell’uso della forza e delle ostilità, l’accesso agli aiuti umanitari nel paese, il ritorno delle forze armate georgiane alle postazioni permanenti, il ritiro di quelle russe alle posizioni precedenti al conflitto e l’nizio di un dibattito internazionale sul futuro status di Ossezia del Sud e Abkhazia insieme ai mezzi per garantire stabilità e sicurezza. Ma ancora il futuro delle ostilità appare quanto mai incerto.

Nel quarantesimo anniversario dell’invasione dei carri armati russi in Cecoslovacchia la Georgia è la nuova vittima dell’espansionismo russo. Dopo aver risospinto le esigue truppe di Tbilisi dalla presa della capitale dell’Ossezia del Sud, le armi di Mosca sono penetrate in territorio georgiano. Dapprima la strategia è stata quella di neutralizzare le difese aeree georgiane colpendo dal cielo le principali postazioni, anche a distanza ravvicinata dalla capitale Tbilisi, e mettendo così fuori uso le installazioni radar e i sistemi di comunicazione. Il passo successivo è stato quello di occupare il territorio secondo un piano di marcia calcolato con obiettivi politici più che militari.

L’occupazione della città georgiana di Gori, a circa sessanta chilometri da Tbilisi, ha conferito alle truppe russe il controllo della principale autostrada che collega il paese – praticamente spaccando in due metà. Adesso il grosso delle forze georgiane, rimpolpate anche dai riservisti, è concentrato nella difesa della capitale. La strategia russa è accuratamente camuffata da una lenta ma inesorabile avanzata militare che è diretta al controllo dei principali snodi logistici e militari della Georgia. L’occupazione pura e cruda è finora preceduta da un’avanzata che sembra trasmettere un forte segnale politico: la Georgia può salvarsi dall’aggressione russa soltanto defenestrando Saakashvili – Tbilisi come Praga. Ma questa similitudine contiene un elemento di innovazione che rende questa antica strategia “europea” della Russia molto più adatta allo scenario caucasico. Nei vari contingenti militari inviati da Mosca per respingere i georgiani nell’Ossezia meridionale compare un corpo speciale, il battaglione “Vostok”, cioè “Oriente” perché incaricato di effettuare operazioni sotto copertura ad alto rischio nell’area orientale della Cecenia. Il Vostok era infatti la principale unità da combattimento nelle prima guerra cecena, quando nel 1999 voltò le spalle ai separatisti ceceni passando dalla parte della Russia. Il battaglione Vostok venne inquadrato negli “Spetsnaz”, le truppe speciali alle dipendenze dell’intelligence militare di Mosca. Presto il Vostok divenne un corpo a se stante, una scheggia impazzita, che si macchiò di violazioni sistematiche dei diritti umani contro la popolazione civile e i guerriglieri separatisti, guadagnandosi una tetra fama ancora oggi intatta che neppure il potentissimo presidente ceceno Kadyrov riuscì a domare. Le peculiarità del Vostok erano due: brutalità e fedeltà assoluta al suo giovane e carismatico capo, Sumil Yamadayev. Alla fine Mosca dovette intervenire rimuovendo Yamadayev con l’accusa di “omicidio, rapimento e altri gravi crimini” – anche se il Vostok rimase operativo.

La confermata presenza dei miliziani del Vostok, addirittura dello stesso Yamadayev, suggerisce che la Georgia viene trattata alla stregua della Cecenia – una terra di ribelli da piegare con attività di sabotaggio e guerriglia clandestini. D’altronde lo stesso capo dell’FSB, Bortnikov, ha intensificato l’attività delle squadre dell’intelligence russa su tutto il confine caucasico della Russia. “Cecenizzare” la Georgia per ridurla in una terra di anarchia in mano a bande armate inizia ad essere un’ipotesi surrogata dal corso degli eventi. Nel frattempo avanza anche la logica degli attacchi multipli della Russia.  Nella Gola di Kodori sono passate all’azione le milizie separatiste dell’Abkhazia, sia con forze aeree che terrestri, sostenute da paracadutisti e altre unità speciali russe – l’obiettivo non cambia: sradicare le ultime postazioni georgiane.

Le autorità russe continuano a dichiarare la fine delle ostilità. Ma dopo questa guerra lampo il vero conflitto inizierà con le trattative di pace, cioè quando la Georgia, e l’Occidente, dovranno pagare il conto salato dell’espansionismo russo. A Tbilisi centomila georgiani hanno marciato per testimoniare il loro patriottismo nell’ora più critica per la Georgia, assediata dalle truppe russe e ormai amputata delle sue due regioni secessioniste. Saakashvili ha polarizzato su di sé il sentimento più istintivo del popolo, che si proclama pronto al martirio pur di non patire il dominio russo. Il fronte interno è compatto dietro a Saakashvili, ma le linee di confine raffigurano una realtà diversa.