In Germania niente prestiti per le aziende che fanno affari con Teheran

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In Germania niente prestiti per le aziende che fanno affari con Teheran

28 Gennaio 2009

Secondo alcune indiscrezioni comparse un paio di giorni fa sul quotidiano economico Handelsblatt, la Cancelliera Angela Merkel (Cdu) sarebbe in procinto di porre severe restrizioni all’interscambio tedesco con l’Iran, da tempo inadempiente nei confronti delle sanzioni inflitte dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite in ordine al proprio programma di arricchimento dell’uranio. La decisione, maturata negli ambienti governativi e non ancora ufficializzata, non costituirebbe comunque una presa di posizione unilaterale dell’esecutivo di grande coalizione, ma un mero ottemperamento di Berlino ai propri obblighi internazionali.

In verità, la notizia non è affatto nuova, se consideriamo che già nell’ottobre del 2008 il settimanale Der Spiegel aveva documentato l’esistenza di un piano tedesco per ridurre il volume di affari con Teheran. Poi però dalle parole non si era passati ai fatti, tanto è vero che Gerusalemme, in una protesta formale inviata alla signora Merkel, stigmatizzò duramente il progetto di un’impresa tedesca, la Steiner Prematechnik Gastec, di realizzare un impianto iraniano per la conversione del gas naturale in GPL. Qualche mese fa sono infine piovute critiche anche dagli Stati Uniti: "La Germania ama l’Iran", si è letto in un violento editoriale del Wall Street Journal a firma di Dan Schwammenthal. Di qui, forse, il passo tedesco di questi giorni.

Più nello specifico, il provvedimento dovrebbe consistere in un taglio alla possibilità di ricevere garanzie federali sul credito per le imprese intenzionate a fare affari con l’Iran. In realtà, come rileva anche il Financial Times, l’emissione di garanzie è progressivamente diminuita sin dal 2006, ma la bilancia commerciale della Repubblica islamica pare proprio non averne risentito. D’altra parte, anche se il filo che lega Berlino a Teheran venisse completamente reciso, il paese dei mullah non vedrebbe di certo compromesso il proprio sviluppo economico. Cina, Russia e Repubblica Ceca, paesi con i quali i rapporti commerciali sono in continua crescita, sarebbero infatti ben contente di rimpiazzare la Germania.

Ecco perché, a differenza dell’establishment berlinese, impegnato a contemperare con estrema cautela rispetto del diritto internazionale, attenzione per i diritti umani e interessi economici, alcuni deputati tedeschi al Parlamento europeo si sono più volte rifiutati di appoggiare un simile provvedimento. Al motto "Wandel durch Handel", cambiamento attraverso lo scambio, politici di entrambi gli schieramenti hanno sottolineato come i traffici commerciali tra i due paesi ne aiutino in realtà anche le relazioni diplomatiche bilaterali, oltre a garantire migliaia di posti di lavoro. Già trecento anni fa, il barone di Montesquieu, discettando dei rapporti tra guerra e commercio, se ne era accorto, osservando che "dove vi è commercio, là i costumi si addolciscono". Viceversa, laddove i legami economici siano pressoché inesistenti, è più forte l’incentivo ad entrare in conflitto.