In Iraq amnistia per i seguaci di Saddam
16 Gennaio 2008
Lunedì il parlamento di Baghdad ha approvato una legge che
annulla quella varata nel giugno del 2003 dal “governatore” americano Paul
Bremer e reintegra tutti i membri del partito Baath nel loro posto
nell’amministrazione pubblica, militari inclusi. Chi ha commesso reati specifici
verrà escluso, ma solo dopo un regolare processo penale. Ovviamente, questa
decisione – molto sofferta, avversata per lunghi mesi da molti partiti
iracheni, soprattutto sciiti – cambia radicalmente il clima politico interno
all’Iraq. Quel disgraziato provvedimento, assolutamente voluto da Ahmed
Chalabi, allora pupillo del Dipartimento della Difesa Usa di Donald Rumsfeld,
ha infatti avuto tragici effetti. Ha destabilizzato decine di migliaia di
famiglie irachene gettandole della disperazione della perdita di reddito dei
capi famiglia (i membri del Baath erano circa 1 milione) e soprattutto ha
favorito una immensa leva di ex militari che – perso per perso – si sono
arruolati nelle organizzazioni armate e terroristiche più disparate, non solo
quelle legate agli uomini di Saddam Hussein entrati in clandestinità.
Ma questa legge – più ancora che per il suo impatto sulla
situazione irachena – ha un rilievo
addirittura storico per quanta riguarda gli Usa e la loro definizione dei “protocolli”
del nation building, in cui introduce
per la prima volta una ricerca diretta del consenso popolare, quale
preoccupazione prioritaria degli Stati Uniti. Essa infatti è stata fortemente
voluta da Condoleezza Rice e fa addirittura parte di un pacchetto di 18 provvedimenti
che Washington ha chiesto al governo iracheno di al Maliki di approvare, pena
la cessazione dello stesso appoggio politico americano. Dunque, una forma
pesante di ‘moral suasion’ americana dispiegata… per abrogare una legge
americana.
A fianco della straordinaria novità rappresentata dalla
nuova strategia militare del generale David Petraeus, questa decisione illustra
un intenso, complesso e fertile lavoro di revisione della stessa tradizionale
dottrina di nation building che gli
Usa applicano nelle aree di crisi in cui intervengono. Petraeus innova perché
applica il classico concetto di escalation
della pressione militare sul territorio, non già, non più, per garantire sic et
simpliciter – come è stato dal
in
truppe Usa, ma finalizzata alla conquista del consenso politico dei micro opinion
maker, isolato per isolato, quartiere per quartiere, paese per paese. Una
rivoluzione concettuale inedita, tutta politica.
L’abrogazione della debaathificazione agisce con lo stesso
fine a livello macro, a livello istituzionale e sociale. Stabilisce che non è
più vero – che non è mai stato vero – che la militanza nel partito totalitario
di regime costituisce una ‘colpa’ tale da inibire la fiducia del nuovo Stato
iracheno. Decreta che questa stessa legge è stato di ostacolo per la
costruzione di un nuovo patto nazionale, sia a livello popolare che a livello
istituzionale perché ha funzionato da mannaia nei confronti di tutti i gruppi
dirigenti sunniti, sia a livello locale che a Baghdad. Attesta, infine, che gli
stessi americani che l’hanno imposta – questo è il punto di rilevanza storica –
hanno commesso un grave errore. E che l’hanno commesso, va aggiunto, perché
influenzati da leader iracheni di riferimento privi di consenso popolare
(Chalabi ha fatto flop a tutte le elezioni), o incapaci (è il caso dei forti
partiti sciiti, il Dawa e lo Sciri, o i due partiti curdi), di disegnare una
ricostruzione del quadro dirigente nazionale che non escluda la componente sunnita
(fortemente compromessa nel Baath).
E’ la prima volta nella storia del secondo dopoguerra che un
amministrazione Usa riconosce un suo errore su un punto così fondamentale,
quale è il nation building, è la
prima volta, soprattutto, che una amministrazione Usa si fa carico in prima
persona del problema del consenso ad un governo nazionale appoggiato dai suoi
militari. La tradizione americana – checché ne dica la ignorante vulgata
antimperialista – è infatti sempre stata quella di affidare in toto al governo
sponsorizzato il tema del consenso (al massimo fornendo blandi consigli di
generiche democratizzazioni, sempre disattesi) e alle truppe con le stelle a
strisce il puro compito di difendere quello stesso governo e di presidiare,
armi alla mano, il suo territorio nazionale. L’esercito americano è sempre
stato ‘separato’, dai governi nazionali (fanno eccezione, naturalmente, i
governi militari interalleati di Germania e Austria, e il governatorato di Mac
Arthur in Giappone).
Il risultato di questa impostazione è stato semplice: là
dove preesistevano forti gruppi dirigenti nazionali di opposizione al regime – o
non compromessi col regime – il nation
building ha perfettamente funzionato a pieno merito dell’intervento
americano (Italia, Germania, Austria, Giappone), là dove, invece, i gruppi
dirigenti nazionali erano deboli o non rappresentativi (un esempio per tutti: i
vari governi cattolici del Sud Vietnam), lo scollamento tra i governi
sponsorizzati dagli americani e la popolazione è stato di gravità tale da
vanificare ogni e qualsiasi impegno militare (come è noto, dal punto di vista
strettamente militare, le truppe Usa vinsero decisamente in Vietnam, la guerra
fu persa perché collassò il fronte interno Usa: non era possibile morire per un
governo di Saigon verminoso e odiato dal suo stesso popolo).
Dopo il Vietnam, questa è stata anche la lezione del
fallimento e della caduta dello scià Reza Pahalevi (e sarà quella di Musharraf
in Pakistan), in cui la debolezza del regime fu determinante nel gettare nelle
braccia di Khomeini anche quei settori per nulla rivoluzionari o islamisti, che
determinarono la vittoria dell’ayatollah (e che subito furono repressi,
terrorizzati e costretti all’esilio nell’ordine di 2 milioni di persone).
Questo retaggio storico, ha pesato negativamente su tutta la reggenza irachena
di Paul Bremer, a cui gli Usa arrivarono – va ricordato – con una vera e propria
guerra interna tra chi – il Dipartimento di Stato – sponsorizzava Iyyad Allawi
e considerava Ahmed Chalabi una iattura, e chi – il Dipartimento della Difesa –
sponsorizzava Ahmed Chalabi. Alla prova del consenso popolare le liste dei due
non raggiunsero mai il 10% dei consensi.
In realtà, a Baghdad, gli americani sono finalmente andati a
sbattere la faccia contro la