In Italia il “sistema tedesco” sarebbe un pasticcio buono per evitare le urne

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In Italia il “sistema tedesco” sarebbe un pasticcio buono per evitare le urne

30 Ottobre 2007

 L’Italia è un ben
strano paese: da anni ci si dilania sul “sistema tedesco”, ma chi lo propone
intende però un meccanismo elettorale che in realtà è “siciliano”, come il suo
inventore, Sergio Mattarella e per nulla teutonico, quel benedetto o maledetto
Mattarellum che tutti, proprio tutti, hanno sempre detto essere totalmente
inadeguato, tanto che ha prodotto ben tre legislature paralizzate e con
maggioranze instabili. Questo ha detto alla Camera lunedì scorso durante il
dibattito sulle riforme istituzionali 
Marco Boato (che sul punto è uno dei massimi esperti in Parlamento) e
aveva pienamente ragione. Il Mattarellum, la pasticciata e inefficace legge
elettorale del 1994, infatti, ha costituito il modello più vicino al sistema
tedesco che la politica italiota possa accettare e nessuno dei suoi tanti
estimatori oggi, propone –in realtà- qualcosa di molto dissimile da quel
modello già fallito in Italia.

 Il sistema tedesco
vero, infatti, ha una sua logica interna ineludibile, che non permette
modifiche tranne il tradimento dell’intero meccanismo e imporrebbe, se lo si
volesse realmente importare in Italia, una difficilissima riforma
Costituzionale. E’ articolato in modo tale, infatti –e questa è la sua
caratteristica immodificabile, salvo tradirne l’essenza- che produce una cifra
variabile di parlamentari eletti. Va dunque detto che non si può innanzitutto
applicare il sistema tedesco se non si abolisce dalla Costituzione il numero di
630 deputati oggi contemplati, se non come indicativo per la definizione dei collegi
uninominali (che dovrebbero essere 315), non come numero predeterminato dei
componenti effettivi della Camera eletta.

 La ragione di questa
variabilità numerica è presto detta. Nel sistema tedesco ogni elettore ha due
schede: una per il collegio  maggioritario
uninominale (con candidati collegati al partito presente nel proporzionale) e
una per il proporzionale (con circoscrizioni 
basate sui laender). Il numero dei collegi uninominali è pari al numero
dei candidati eleggibili col proporzionale, in principio (quindi 315 più 315,
se fossimo in Italia). Ma –con logica straordinariamente teutonica- nelle
elezioni tedesche uno più uno non fa obbligatoriamente due. Il correttivo
numerico che la legge tedesca impone è infatti raffinato. Non la volgarità dello
“scorporo” dei voti del uninominale sul proporzionale (come nel Mattarellum),
ma uno scorporo tutto e solo politico, non quantitativo. Il numero dei
parlamentari di ogni partito –che abbia superato la quota del 5% nel
proporzionale- è dato infatti dal proporzionale stesso. Ogni partito eleggerà
in Parlamento, dunque solo e unicamente il numero dei parlamentari che gli
spetta sulla base della suddivisione dei voti validi nel sistema  proporzionale (per ipotesi: 100). La
delegazione parlamentare del partito, poi, sarà composta dai parlamentari
collegati a quel partito nei collegi uninominali, a cui si aggiungeranno i
parlamentari che hanno avuto più voti di preferenza nel proporzionale (se il
partito, sulla base del proporzionale, ha diritto a 100 deputati, e ne ha vinti
63 nei collegi uninominali, il proporzionale vedrà eletti solo 37 deputati).

 Questo sistema ha poi
due fondamentali correttivi che puntano a garantire il “diritto di tribuna” e
eventuali distorsioni (presenti largamente nello scorporo del Mattarellum come
si è visto in ben tre turni elettorali italiani). Se un partito elegge tre
deputati in tre collegi uninominali, può infatti attingere alla quota
proporzionale anche se non ha superato lo sbarramento del 5% (questo è stato il
caso degli ex comunisti nell’Est) o delle minoranze più varie.

 Infine, se un
partito, ha avuto eletti nell’uninominale, più candidati di quanti gli
spetterebbero secondo la sua quota proporzionale (ad esempio 110, su un
proporzionale che gli riconoscerebbe solo 100 seggi), il vincolo numerico del
proporzionale decade e li elegge tutti e 110 (nessuno dal proporzionale,
ovviamente).

 Alla fine di ogni
tornata elettorale, questo meccanismo che ha garantito 60 anni di bipolarismo,
coalizioni omogenee e addirittura l’annessione indolore di un altro paese (la
Rdt, con i suoi 20 milioni di abitanti), ha portato alla definizione di un
Bundestag con una variabilità numerica da 0 a 6-8 unità.

 Come si vede, si
tratta di un orologio di precisione in cui la modifica di una rotellina
porterebbe allo squilibrio totale di tutto il meccanismo. Ma si vede anche che
è impensabile potere importare questo meccanismo nella realtà italiana. Anche
perché, esso funziona solo in quanto collegato a due altri pilastri
istituzionali che gli sono politicamente omogenei, la “sfiducia costruttiva”
(non si può aprire la crisi di un esecutivo se non sui è già formata una
maggioranza formale che ne approvi uno diverso o alternativo) e una seconda
Camera, il Bundesrat,  che è espressione
dei governi dei laender che non dà la fiducia al governo e che è essenzialmente
competente per le leggi di bilancio e di regolamento economico. E’ così spesso
accaduto che governi Cdu (Helmuth Khol) o Spd (Gherad Schroeder), abbiano
governato con un Bundesrat in mano all’opposizione, obbligati a venire a patti
(una sorta di grosse Koalition economica) con la minoranza politica, su tutti i
temi di bilancio o di welfare. Questo ha imposto alla Germania un clima
politico tale da rendere poi l’eventualità della Grosse Koalition praticabile
in casi estremi, all’opposto dell’Italia. Se Prodi avesse saggiamente accettato
la proposta di Berlusconi all’indomani del pareggio del 2006, sarebbe scoppiato
comunque una parte del paese e del sistema stesso dei poteri forti, che tutto
vuole, tranne che governi politicamente autosufficienti.

 Il continuo parlare
di “modello tedesco”, alla Rutelli, alla Bertinotti o alla Casini, dunque, non
significa affatto volerlo importare, ma volere tornare a un sistema
essenzialmente proporzionale, con una piccola quota di maggioritario, un
ennesimo pasticcetto che porti alle “mani libere per tutti”. Se non una scusa
per prendere tempo.