In Lombardia le politiche per il lavoro funzionano ma i giornali non lo dicono

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In Lombardia le politiche per il lavoro funzionano ma i giornali non lo dicono

26 Ottobre 2009

Per i casi della vita mi sono messo a leggere con attenzione quel che la Regione Lombardia ha fatto per le politiche del lavoro. Ho esaminato così in modo articolato il formidabile (per numeri e investimenti) sistema di doti (soldi in cambio di progetti personali impegnativi) alle persone per la formazione, l’accompagnamento da un lavoro all’altro, per l’integrazione dei disabili, e il parallelo sistema di accreditamento delle varie strutture private che possono svolgere i ruoli pubblici citati  con un sistema di controllo e valutazione sull’operato di questi. Da lettore sistematico ma non particolarmente approfondito anche di questo argomento, avevo certamente scorso articoli su questa realtà. Ma li avevo letti con la frettolosità che si dedica alle notizie specialistiche. Così non avevo collegato certe informazioni, sul quel che aveva fatto la Regione, con gli uffici per la gestione del lavoro che aprono le loro vetrine in tante strade milanesi e in cui spesso mi imbatto constatando la presenza di decine di giovani. Non avevo collegato un sistema di norme a una realtà che sta crescendo e che sta conferendo una particolare vitalità al mercato del lavoro della mia città (e naturalmente – credo –lombardo: ma su questo non ho esperienze concrete in prima persona).

Non ho mancato in diverse occasioni, come altri osservatori della realtà italiana, di sottolineare quanto stiano arricchendo la società italiana il sistema di enti bilaterali, la crescita di iniziative sussidiarie che si estendono con una trama articolata in tanti ambiti della nostra vita nazionale. Grazie soprattutto all’iniziativa della Cisl di Raffaele Bonanni, delle politiche di Maurizio Sacconi e  anche delle scelte di Roberto Formigoni. Ma le mie osservazioni erano essenzialmente astratte, nascevano da valutazioni su testi, principi, ragionamenti con poco rapporto con la vita reale. Studiando una normativa più concreta e poi, quasi per caso, vedendone i suoi effetti empirici, sono uscito finalmente dal ruolo del puro osservatore “esterno”.

Questa constatazione naturalmente è anche un’ammissione di colpa. E altrettanto naturalmente mi permetto di accampare una scusante: il terribile declino della nostra informazione giornalistica. La vita “concreta” nelle cronache è troppo spesso solo un pretesto per regolamenti di conti o comunque per strategie politiche più generali. I quotidiani “scoprono” gli artigiani solo quando devono trovare un modo per disarticolare il centrodestra. A Milano un quotidiano pur di qualità come la Repubblica fa un’informazione per esempio sulle vicende urbanistiche solo orientata da interessi particolari. Se la debendettiana Aedes acquisisce nel corso della “gloriosa” lotta per la salvezza della Innse un’ampia area nel quartiere milanese di Lambiate, la politica urbanistica del Comune diventa immediatamente “santa”. La lotta in difesa dell’Ippodromo di San Siro sostenuta con decina di editoriali “repubblicani” diventa improvvisamente una lotta contro l’Ippodromo di San Siro perché la sua conservazione risulta un favore a Salvatore Ligresti che vuole salvare il suo mercato per appartamenti di lusso nella vicina area della vecchia Fiera.

Il vecchio Armando Cossutta, all’inizio degli anni Settanta, diceva che la politica a Milano è diventata di minore qualità perché il Corriere della Sera aveva aperto le sue pagine di cronaca romana e così la vita della città di Ambrogio aveva perso un palcoscenico nazionale ed era diventata troppo una cosa solo dei milanesi. Per qualche anno in via Solferino, sotto la direzione di un magnifico cronista come Salvatore Conoscente, il racconto della vita meneghina rimase sempre di alto livello. Poi ci fu un lento ma sistematico declino.