In Medio Oriente l’Iran occupa lo spazio lasciato libero dall’America di Obama
09 Maggio 2009
di Amir Taheri
Nella convinzione che l’amministrazione Obama si stia preparando a un disimpegno dal quadro mediorientale, il regime iraniano sta intensificando le sue manovre per raggiungere l’obiettivo di imporre la propria egemonia sull’intera regione. L’Iran ha preso di mira sei regimi alleati degli USA: Egitto, Libano, Bahrain, Marocco, Kuwait e la Giordania, tutti accomunati da crisi economiche e/o politiche. Gli strateghi iraniani ritengono che l’Egitto affronterà una crisi ancora maggiore una volta che il suo ottantunenne presidente, Hosni Mubarak, lascerà lo scettro del potere. Mubarak ha infatti fallito nel tentativo di imporre il figlio maggiore Gamal come suo successore, sebbene l’establishment delle forze militari e di sicurezza, tradizionalmente dotato di potere di investitura, rimanga diviso al riguardo. Per mesi, l’Islamic News Agency, organo di stampa ufficiale del governo iraniano, ha condotto una campagna propagandistica sulla successione, scatenando una contro campagna anti-iraniana condotta dai media egiziani.
Lo scorso mese, l’Egitto ha annunciato di aver smascherato un complotto iraniano sul suo territorio, e di aver proceduto all’arresto di 68 persone. Secondo i media egiziani, quattro tra gli arrestati sono membri dei Corpi della Guardia Rivoluzionaria Iraniana, principale strumento in mano a Teheran nella sua opera di esportazione della rivoluzione khomeinista. Altri sette tra i 68 arrestati, sono membri palestinesi del movimento estremista islamico Hamas; uno è un libanese identificato dal ministro degli Interni egiziano come “agente politico di Hezbollah”. Hassan Nasrallah, leader della formazione politico-militare libanese Hezbollah, ha affermato che quegli uomini operavano per inviare armi ad Hamas nella Striscia di Gaza.
A quanto pare, tali arresti hanno avuto luogo lo scorso dicembre, durante un’azione di repressione nei confronti di gruppi intenti in un’opera di conversione dei cittadini egiziani allo sciismo. Il ministro degli Interni egiziano ha affermato che questa opera di proselitismo si protrae ormai da anni. Circa trent’anni fa, il numero di sciiti in Egitto contava poche centinaia di credenti. Secondo varie stime oggi in circolazione, il loro numero è oggi prossimo al milione, ma si dice che pratichino la taqiyah (dissimulazione) per nascondere la loro nuova fede. Benché la campagna iraniana abbia delle ambizioni sull’intera regione mediorientale, Teheran si aspetta che il Libano sia il primo trofeo da poter esibire. L’Iran sta spendendo ingenti quantità di denaro per le prossime elezioni politiche che si terranno in Libano il prossimo giugno. Infatti, l’Iran sostiene in Libano la coalizione capeggiata da Hezbollah, incluso l’ex-generale di confessione cristiana Michel Aoun. Quello che oggi è un paese inserito a pieno titolo nella lista dei paesi pro-USA, potrebbe presto finire nella lista di coloro che sostengono l’Iran.
Nel Bahrain, Teheran spera di vedere i propri alleati impadronirsi del potere attraverso manifestazioni di piazza e atti di terrorismo. Il clan che governa in Bahrain ha arrestato numerosi militanti pro-iraniani, ma ciononostante appare più vulnerabile che mai. Il re Hamad bin Isa al-Khalifa ha avuto modo di sollecitare la solidarietà degli altri capi di stato arabi per “un urgente sostegno di fronte a palesi pericoli”, secondo i media del Bahrain. Tali pericoli sono divenuti eclatanti lo scorso marzo. Durante un’allocuzione pubblica a Masshad, la principale “città santa” iraniana, Ali Akbar Nateq-Nuri, un consigliere di lunga data del leader supremo ayatollah Ali Khamenei, ha apostrofato il Bahrain come “parte dell’Iran”. Il Marocco ha alzato la testa di fronte a tali dichiarazioni, cogliendo l’occasione per congelare le proprie relazioni con Teheran. La rottura è arrivata dopo mesi di tensioni durante i quali le forze di sicurezza marocchine hanno smantellato un network di militanti pro-iraniani accusati di voler imbastire azioni violente nel paese. Gruppi riconducibili all’Iran sono stati scoperti sia in Kuwait che in Giordania. Secondo notizie apparse sui media del Kuwait, più di mille presunti agenti iraniani sono stati arrestati e rimpatriati lo scorso inverno. Secondo i media iraniani invece, la vulnerabilità del Kuwait deriverebbe da una paralisi di governo causata da croniche dispute parlamentari.
Per quanto riguarda la Giordania, gli strateghi di Teheran ritengono che il regno, la cui popolazione è composta per due terzi da palestinesi, sia una creazione coloniale e che per questo debba scomparire dalle mappe, aprendo la via ad un’unica nazione che includa l’intera Palestina. Il leader supremo iraniano, Alì Khamenei, e il presidente, Mahmoud Ahmadinejad, hanno entrambi descritto la divisione della Palestina come “un crimine e una tragedia”. Ed è per questo che la preoccupazione cresce tra gli Stati arabi, soprattutto se si tiene conto del fatto che Teheran sembra essere riuscita a coagulare consensi e a far superare divisioni settarie e ideologiche, creando le basi per una coalizione che includa movimenti sunniti come Hamas, la Jihad islamica, settori della Fratellanza musulmana, affiancati da gruppi di ispirazione marxista-leninista e quant’altro nella galassia della sinistra, tutti accomunati dall’anti-americanismo iraniano.
Secondo informazioni dei servizi di intelligence egiziani e di altri stati arabi, riportate dai media egiziani e arabi in genere, gli iraniani starebbero attuando una strategia operante a vari livelli. Il cerchio esterno consisterebbe in un certo numero di compagnie commerciali, banche e aziende operanti nei più disparati settori, impegnate in campagne di assunzione di lavoratori in ogni paese preso di mira. Solo in Egitto, tanto per fare un esempio, la polizia ha scoperto più di trenta compagnie iraniane ‘di facciata’, secondo il giornale pan-arabo Asharq Alawsat. In Siria e in Libano, a quanto pare, si tratterebbe invece di centinaia di aziende ‘di facciata’.
Nel cerchio successivo della strategia, le associazioni caritatevoli iraniane hanno la funzione di offrire un’ampia gamma di servizi sociali, medici, borse di studio che i rispettivi governi nazionali sono incapaci di fornire. Un altro di questi cerchi strategici, consisterebbe in centri “culturali”, spesso denominati Ahl e Beit (gente della casa), supervisionati dagli uffici del leader supremo iraniano. Questi centri offrono corsi di lingua persiana, inglese, arabo, teologia islamica, commenti coranici e filosofia tradizionale, oltre ad offrire corsi di IT, studi sui media, corsi di fotografia e di produzione cinematografica. Ogni qual volta sia possibile, il quarto cerchio entra in azione ed esso è rappresentato da gruppi riconducibili ad Hezbollah in aperta operatività. Quando invece no, entrano in azione organizzazioni clandestine, sia agenti in modo autonomo che in comunione con gruppi estremisti di ispirazione sunnita.
La rete di diplomazia pubblica khomeinista include una mezza dozzina di televisioni satellitari, emittenti radio in svariate lingue, più di cento quotidiani e riviste, una dozzina di case editrici e un centinaio di siti web e blog controllati dai corpi della guardia rivoluzionaria islamica. Questa rete controlla migliaia di moschee nella regione ove predicatori provenienti dall’Iran, o formati dagli iraniani, seminano il messaggio rivoluzionario khomeinista. Teheran ha altresì creato una vasta rete di ricercatori itineranti non-sciiti, capaci di tessere relazioni culturali e politiche tra le élites della regione. Questi politici e intellettuali, possono anche mostrare ostilità al khomeinismo sul mero piano ideologico, ma ad esso guardano come un potente alleato nella battaglia comune contro il “grande satana” statunitense.
La propaganda khomeinista sta cercando di dipingere l’Iran come un’emergente “superpotenza” in gestazione, mentre gli USA sono rappresentati come la potenza “al tramonto”. Il messaggio è molto chiaro: gli americani stanno per partire, e noi stiamo per arrivare. Teheran gioca un gioco paziente. Quando ve ne siano le condizioni, l’Iran è determinato a perseguire i suoi obbiettivi attraverso espliciti strumenti politici, elezioni incluse. Con i gruppi politici democratici e pro-USA scoraggiati dalla percepita debolezza dell’amministrazione Obama, Teheran spera che i propri alleati vincano tutte le elezioni in programma quest’anno tanto in Afghanistan, in Iraq, in Libano e nei territori palestinesi. !Si è fatta largo la percezione che la nuova amministrazione USA si sia disimpegnata dal perseguimento di una strategia di democratizzazione,” come ha avuto modo di rivelarmi un navigato politico libanese. Questa percezione cresce ogni qual volta il presidente Obama annuncia l’exit strategy per l’Iraq e l’Afghanistan. Il potere non accetta vuoti, e la Repubblica islamica di Iran è semplicemente felicissima di riempirli.
© Wall Street Journal
Traduzione di Edoardo Ferrazzani
Il nuovo libro di Amir Taheri “The Persian Night: Iran Under the Khomeinist Revolution,” è edito dalla Encounter Books.