“In Pakistan l’estremismo danneggia sia i cristiani che gli islamici moderati”
14 Giugno 2007
di redazione
Intervista a Mons. Joseph Coutts
di Emiliano Stornelli
Il Pakistan è uno dei paesi in cui l’estremismo islamico è
più diffuso e organizzato e dove la sopravvivenza delle comunità cristiane è
resa assai precaria da minacce e discriminazioni. I cristiani sono poco più di
3 milioni su una popolazione di 165 milioni di abitanti, ma nonostante l’esiguo
2 per cento rappresentano la minoranza religiosa più numerosa del paese. Dei cristiani in Pakistan e dei loro rapporti con la stragrande maggioranza
musulmana, ci parla Joseph Coutts, vescovo cattolico di Faisalabad, la seconda
città del Punjab dopo Lahore, la capitale della regione. Il vescovo presiede
anche la Caritas locale e si trova a Roma per l’Assemblea generale
dell’organizzazione.
Com’è la situazione
relativa alla libertà religiosa in Pakistan? Quali sono le condizioni di
sicurezza per i cristiani?
La costituzione pakistana sancisce la libertà per ognuno di
professare il proprio credo religioso. Il Pakistan è una repubblica islamica
solo nella sua denominazione ufficiale, le leggi infatti sono secolari, anche se durante il regime militare islamista di Zia ul Haq, negli anni ’70 e ’80, sono state introdotte alcune leggi a tutela dell’Islam tuttora in vigore. Sulla
base dell’ordinamento giuridico, la Chiesa cattolica, al pari delle altre
confessioni, può officiare liberamente nei luoghi di culto. Non è possibile fare opera di
evangelizzazione diretta ai musulmani o predicare loro il Vangelo, ma non esistono restrizioni alle attività educative, sociale e caritatevoli che la Chiesa offre a tutti. I pericoli per i cristiani, pertanto, non
provengono dallo stato ma dall’estremismo islamico. Dopo l’11 settembre l’intolleranza
nei nostri confronti è andata crescendo. Mai prima di allora le chiese erano
state oggetto degli attacchi dei gruppi fondamentalisti. Pochi giorni dopo
l’inizio dell’intervento americano in Afghanistan, due giovani estremisti sono
entrati in una chiesa la domenica mattina e hanno ucciso a brucia pelo
quattordici persone ferendone altre. Anche le nostre scuole e i nostri ospedali
hanno subito degli attacchi. Qualche settimana fa, nella North West Frontier
Province, al confine con l’Afghanistan, un gruppo islamico fondamentalista
legato ai talebani ha intimando ai cristiani del posto di convertirsi all’Islam.
Io stesso sono stato più volte minacciato di morte.
Le autorità
intervengono per proteggere i cristiani?
Sì, la polizia cerca di proteggerci. Fuori ogni chiesa c’è
almeno un uomo in divisa e la sicurezza aumenta quando sono in programma celebrazioni
importanti, come in occasione delle festività.
Il regime di
Musharraf che politica adotta nei confronti dell’estremismo religioso?
Musharraf è impegnato a promuovere la cosiddetta “Enlighten
Moderation”, vale a dire l’Islam moderato. Ma la sua azione è risultata finora
poco incisiva a causa della strenua resistenza dei gruppi estremisti che si
oppongono alla modernizzazione del paese e vogliono piuttosto introdurre la
sharia. Il fanatismo religioso quindi è un problema anche per il governo
pakistano e i musulmani moderati, non solo per le minoranze.
Com’è si colloca la
comunità cristiana all’interno della società pakistana?
La società pakistana è piuttosto frammentata e non avanza in
maniera omogenea. Una parte va avanti più velocemente, un’altra più lentamente
e un’altra ancora rimane immobile, non si muove. Si può dire che abbia fatto ingresso
nella modernità solo una minoranza più istruita e con mentalità secolare; la
maggioranza si trova ancora in una specie di medio evo ed è quella la parte più
influenzata dal fondamentalismo islamico. In Occidente avete avuto il
rinascimento, l’illuminismo, le rivoluzioni, il Concilio Vaticano II e così
via. In Pakistan solo una ristrettissima minoranza di musulmani è passata
attraverso questo processo, mentre il sessanta per cento della popolazione è
analfabeta. Per quanto riguarda i cristiani, la gran parte vive in condizioni
di povertà. Nelle grandi città svolgono lavori molto umili, spesso nelle case
dei più ricchi, e nelle campagne fanno i braccianti al servizio dei proprietari
terrieri. Tuttavia, il numero dei medici, degli insegnanti, degli infermieri e
degli impiegati è in continua crescita e questo è segno dei grandi passi avanti
compiuti.
Che attività svolge
la Chiesa in Pakistan?
La Chiesa si occupa in primo luogo dell’istruzione. Una
grande responsabilità in un paese con il tasso di analfabetismo al 60 per
cento. Nella mia diocesi, vi sono 72 scuole; di queste, 10-15 sono indipendenti
perché frequentate da studenti di famiglie in grado di pagare una retta; le
restanti accolgono i meno abbienti e, finanziariamente parlando, sono sulle
spalle della Chiesa. Nella mia diocesi c’è anche un ospedale cattolico, dove
oltre alle cure forniamo anche istruzione per formare gli infermieri.
Vi sono
rappresentanti cristiani e cattolici nelle istituzioni?
Ve ne sono nelle assemblee provinciali e nel parlamento
nazionale, dove l’unico rappresentante cattolico è stato eletto con il partito
di maggioranza, la Lega Musulmana Pakistana. Anche il ministro delle Minoranze
è un cattolico.
E’ possibile il
dialogo interreligioso in un contesto così gravemente affetto dall’estremismo
islamico?
Esiste anche l’altra faccia della medaglia. Non ci sono solo
le madrase, le scuole coraniche, che incitano all’odio contro i cristiani e i
giovani fanatici che danno l’assalto alle chiese. Nella nostra diocesi, ad esempio,
insieme agli ulema locali, ai pastori protestanti e agli esponenti delle altre
religioni, come i sikh e gli indù, abbiamo dato vita al Comitato per la Pace,
un foro dove è possibile riunirsi per discutere di problemi comuni e per
celebrare le rispettive cerimonie e festività. Le nostre scuole, inoltre, sono
aperte anche ai bambini musulmani. Per loro assumiamo appositamente degli ulema
per l’insegnamento del Corano; per il resto, bambini cristiani e musulmani
stanno insieme e seguono le stesse materie, dalla matematica alla geografia,
dall’inglese all’urdu, dalla storia alla letteratura.
Qual è la condizione della donna?
La tradizione in Pakistan vuole che la donna sia subalterna
all’uomo e non occupi un ruolo pubblico di primo piano, anche se in famiglia la
madre ha un ruolo molto considerato e autorevole. Le forme di discriminazione
sono molteplici. Tra le tante, la testimonianza di una donna davanti a un
giudice vale la metà di quella di uomo, e se la donna non è musulmana vale un
quarto. Ma i segnali di cambiamento ci sono e sono forti. Oggi, la condizione
della donna rispecchia l’eterogeneità della società pakistana. Lo si vede nelle
strade delle città, dove si possono incontrare ragazze con il velo che copre
tutto il corpo, ragazze con il velo che lascia scoperto il volto e ragazze
senza velo. Nei college le ragazze portano i jeans, anche se al di fuori del
college ancora non possono indossarli liberamente per paura della reazione di
qualche fanatico musulmano. Alle donne inoltre è permesso guidare l’automobile,
cosa che in Arabia Saudita è ancora inimmaginabile.
Le donne sono
presenti nelle istituzioni?
Sì, soprattutto in parlamento la rappresentanza femminile è
in costante crescita, anche se ciò vale per le donne musulmane e non per quelle
cristiane o di altre religioni, che quindi anche in questo caso vengono discriminate
e hanno una minore dignità delle donne musulmane. Una donna poi è
l’ambasciatrice del Pakistan in Portogallo, senza dimenticare Benazir Bhutto,
che è stata primo ministro. I fondamentalisti, tuttavia, cercano di contrastare
il processo di emancipazione femminile. Il ministro del Turismo del governo
attuale era una donna, finché gli estremisti non l’hanno costretta alle
dimissioni per aver osato lanciarsi con una paracadute. Una donna era inistro in una provincia prima che un fanatico esagitato la uccidesse durante un comizio pubblico.
Quali sono le radici
storiche del fondamentalismo islamico in Pakistan?
La radicalizzazione dell’Islam è avvenuta con la presa del
potere da parte del generale Zia ul Haq alla metà degli anni Settanta. Zia ul
Haq, col supporto finanziario dell’Arabia Saudita, favorì l’insegnamento nelle
madrase di un Islam integralista, fanatico e violento, simile a quello
wahabbita, perché sostenesse ideologicamente i suoi piani espansionistici nella
regione. Sono state le madrase pakistane a formare i mujaheddin che hanno combattuto la guerra santa in Afghanistan contro l’Unione Sovietica col supporto degli Stati Uniti. E’ quindi per colpa di Zia ul Haq che l’insegnamento e l’educazione in
Pakistan è caduta nelle mani degli estremisti. E fu su spinta del clero
islamico più oltranzista che nel 1976 Zia ul Haq modificò la legge 295 che regolava
i rapporti tra le varie confessioni religioni. La legge 295, risalente ai tempi
della dominazione britannica, stabiliva il giusto principio che nessuna
religione può offendere l’altra. Zia ul Haq aggiunse alla legge due commi
tuttora in vigore: il comma b prevede la prigione per chi oltraggia il Corano,
il comma c la morte per chi offende il profeta Maometto, non importa se
direttamente, indirettamente o in che modo.
Perché Musharraf non
ha abrogato i due commi della legge 295?
Non li ha abrogati perché il potere di ricatto degli
estremisti nei suoi confronti è molto forte. Musharraf è stretto all’angolo e
non riesce a trovare nella componente moderata un valido supporto. La sua vita
è già stata attentata più volte. Quanti difendono la legge così come modificata
da Zia ul Haq ricorrono a un argomento che può essere considerato convincente.
Infatti, chi viene accusato di oltraggio a Maometto ha il diritto di difendersi
in tribunale nel corso di un regolare processo. Da questo punto di vista, la
legge è garantista. Il punto è che molto spesso l’imputato non ha il tempo per
provare la sua innocenza, perché può rimanere facilmente vittima della mano
assassina di qualche fanatico prima di recarsi davanti alla corte. Un altro
aspetto odioso della legge 295, è il suo ricorso strumentale per delazioni e
vendette personali. E’ interessante notare, infine, che delle 23 persone uccise
dal 1997, 18 sono i musulmani e “solo” cinque i cristiani. Il dato è prova di
quanto l’estremismo islamico rappresenti una minaccia per i musulmani moderati e
non semplicemente per le altre religioni. I musulmani moderati sentono il peso
del fondamentalismo proprio come noi.