In questo “anno del Vaticano II” la Chiesa ritrovi l’essenza del Concilio
12 Ottobre 2012
Il ricordo e la celebrazione del Concilio Vaticano II nel suo 50mo anniversario non può essere staccata dall’impegno della Chiesa ad interpretarlo. Non si può infatti attuarlo senza prima averlo adeguatamente interpretato. Ecco l’aspetto principale di questo “anno del Concilio” inserito dentro l’anno della fede proclamato dal Papa. L’interpretazione del Concilio non è ancora finita e durerà probabilmente a lungo. E’ iniziata fin da subito, a Concilio appena aperto. E’ proseguita lungo i pontificati di Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Questi pontefici hanno fatto delle precisazioni importanti sul Concilio e sulla sua eredità, cercando di correggerne, di volta in volta, le interpretazioni errate.
Non sempre coloro che lo hanno interpretato erroneamente hanno fatto tesoro di queste precisazioni e il lungo periodo della interpretazione del Concilio è stato spesso un dialogo tra sordi. L’interpretazione del Concilio ha poi subito una impennata quando Benedetto XVI, il 22 dicembre 2005, ha fatto il discorso sulla interpretazione come “rottura” o come “riforma nella continuità”. Ha dato i criteri di fondo, segno che l’interpretazione aveva secondo lui una lunga storia davanti a sé. Non ha chiuso il dibattito sul Concilio, ma l’ha autorevolmente riaperto. Ancor più la discussione si è impennata quando il Papa ha rimesso la scomunica ai quattro vescovi della Fraternità San Pio X di Mons. Lefebvre e sono iniziati i colloqui per la ricomposizione della frattura con la Chiesa di Roma. Benedetto XVI ha dovuto scrivere una lettera a tutti i vescovi del mondo per difendersi dagli attacchi, spesso violenti, nei suoi confronti. Era infatti chiaro che questa riapertura di relazioni in qualche modo riapriva anche la questione Concilio.
In questo 50mo, quindi, si commemora qualcosa che deve essere ancora interpretato in via definitiva. Il Vaticano II presenta ancora vari problemi aperti, accanto alle numerose acquisizioni sul suo messaggio fondamentale. Le stesse “novità” portate dal Concilio e che oggi sono sulla bocca di tutti – la collegialità, la libertà di religione, l’ecumenismo, la riforma liturgica, la cosiddetta apertura al mondo – non possono essere considerate come acquisite in forma stabile e definitiva. Il loro rapporto con la tradizione della Chiesa – giacché il Vaticano II non diede inizio ad una nuova Chiesa ma va interpretato dentro la fede di sempre – deve essere in molti aspetti ancora chiarito, nonostante le precisazioni via via addotte nei decenni scorsi.
C’è poi la questione del rapporto tra Concilio e postconcilio, che è pure tuttora aperta, soprattutto perché essa dipende dalla interpretazione del Concilio. Lo stesso concetto di “attuazione” del Concilio non è condiviso dalle diverse anime degli interpreti. Chi vede il Concilio come “evento”, come spirito e non come lettera, nega che il Concilio sia da “attuare” in quanto esso è un evento che deve “continuare”. Una attuazione lo intenderebbe in modo rigido, burocratico e darebbe la preminenza alla gerarchia ecclesiastica, mentre il Concilio sarebbe stato un con-venire che deve essere semmai riscoperto e rivissuto.
Deve essere portato avanti nelle sue esigenze interne che ancora non hanno trovato sbocco per le forze della normalizzazione e della restaurazione. Secondo costoro il Concilio è incompiuto, ma non è da attuare, bensì da riscoprire, da rivivere e da portare avanti. Gli attacchi contro Benedetto XVI che si sarebbe messo a capo degli “anticonciliaristi” o comunque avrebbe fornito appoggi ai loro argomenti la dicono lunga su come le interpretazioni siano ancora molto lontane tra loro. L’attuazione del Concilio riproporrebbe, dicono, la distinzione tra teoria e prassi, tra dottrina e pastorale mentre il Concilio avrebbe fatto coincidere le due cose. Ecco un altro grande problema che aspetta ancora una precisazione definitiva.
Il fatto che sia in atto una interpretazione del Concilio, che il Papa lo sappia e lo voglia, che egli stesso abbia indicato i principali paletti dell’approfondimento, mette in guardia da una possibile nuova mitizzazione del Concilio che impedirebbe la sua adeguata interpretazione. Un evento come il 50mo anniversario si presta a questo uso strumentale del Concilio. I media vi si butteranno sopra, le frasi fatte sul Concilio troveranno occasione di ampia diffusione, il Concilio sarà presentato come “evento” che ha prodotto un “nuovo inizio” con il pericolo di ripresentarlo come un “superdogma” . Già da come i media hanno impostato la cronaca della giornata di ieri 11 ottobre 2012, anniversario della apertura del Concilio avvenuta l’11 ottobre 1962, fa pensare alla concreta possibilità di questa mitizzazione, dietro alla quale la corretta interpretazione troverà una cortina fumogena che le impedirà di procedere.
C’è da augurarsi, al contrario, che la necessità di una corretta interpretazione del Concilio, obiettivo ancora da conseguire, trovi in questo “anno del Vaticano II” un momento di serio approfondimento sotto la guida del Papa. Più che le trasmissioni televisive, le fiction su Giovanni XXIII, le dichiarazioni ufficiali e di maniera di alti prelati, sarà questo a contare veramente. Del Concilio si sono insinuate interpretazione devianti. La Chiesa dovrebbe approfittare di questo anno di commemorazione e ricordo per riappropriarsi del Concilio collocandolo al suo posto, dentro la sua storia millenaria e la sua tradizione.