In ricordo di Pesciarelli, modello di professionalità tranquilla
09 Gennaio 2012
Quando mi è stato chiesto di quale personaggio, che ci ha lasciato nell’anno appena concluso, avessi voluto fare un ritratto d’addio, non ho esitato un momento e ho risposto "Andrea Pesciarelli!". Il 2011, certamente, verrà ricordato come l’anno che ha fatto suonare la campanella per grandi personaggi non propriamente "edificabili", come Muammar Gheddafi – il cui volto malconcio ha fatto il giro del mondo – come Osama bin Laden – il cui volto malconcio ha fatto il giro del mondo solo come fotomontaggio, in quanto del suo corpo esanime non è stato reso pubblico neanche un fotogramma – o come il dittatore nordcoreano Kim Jon Il – la cui morte è stata capace di far versare al proprio popolo molte più lacrime di quanto possa mai fare qualsiasi manovra finanziaria. Ma anche come l’anno in cui il mondo ha perso il genio di uno dei pochi personaggi veramente in grado di cambiare il mondo con le sue invenzioni (e inutile specificare che mi riferisco a Steve Jobs).
Eppure nessuna di queste morti mi ritorna in mente come quella che ha colpito Andrea Pesciarelli, caporedattore del Tg5. Perché la normalità, la sommessa professionalità sospinta però da una grande passione sono qualità che mi hanno fatto apprezzare da sempre il giornalista che un’incidente stradale ha portato via lo scorso 8 ottobre, a soli 47 anni. Non lo chiamo "collega", perché lui era un giornalista vero, mentre io un semplice aspirante "comunicatore" che di strada, se ci sarà la possibilità, ne deve fare ancora tanta. Ma mi permetto di chiamarlo "fratello", anche se non l’ho mai conosciuto. Sì, perché io e lui condividiamo (condividevamo suona proprio male) la stessa forte passione per la S.S. Lazio 1900, lo stesso tifo per quella che, per me e per lui, è e sarà sempre la prima squadra della Capitale. Questo basta a fare di Andrea un mio fratello e fratello di tutte le persone che compongono il popolo laziale, affermazione che, vi assicuro, è assolutamente priva di retorica.
E il Pescia – come veniva chiamato dalle persone a lui più strette – ha saputo sempre operare con professionalità e serietà senza mai abbandonare una passione che lo ha accompagnato fin da bambino e che molti noiosi "cervelloni" considerano invece un’infantile droghetta da minus habens. E senza mai accantonare la sua spigliata vocazione a ridere di tutto nella vita, come ha avuto modo di ricordare colui che l’ha personalmente voluto al Tg5, Clemente J. Mimun – anche lui biancoceleste nel sangue – nel salutarlo in veste di amico, prima ancora che di direttore del telegiornale cui Pesciarelli era approdato dopo aver lavorato per molti anni alla Rai: "Il Tg5 piange un collega bravo e competente, un uomo leale e per bene, naturalmente portato al sorriso e alla battuta, con la vocazione naturale a fare gruppo, capace di sdrammatizzare ogni situazione, ma allo stesso tempo sempre pronto ad impegnarsi con grande rigore e serietà". Da queste doti, del resto, scaturisce "Inguaribili bugiardi", libro scritto a quattro mani con il collega Gerardo Antelmo, in cui vengono messi alla berlina i "bugiardi" per antonomasia, i politici, e che rappresenta un efficace esercizio di giornalismo – indipendentemente dalle posizioni che il lettore nutre nei confronti dei personaggi fatti oggetto d’indagine.
Ma poi alla fine, per rendere l’omaggio più vero al Pescia, basterebbe rimarcare quelle cinque parole che il direttore del Tg5 ha riservato per lui: uomo leale e per bene. Perché, oltre ogni successo personale, conta questo nella vita.