In rotta con Di Pietro, freddo con Casini, Veltroni resta solo (con D’Alema)
10 Luglio 2008
Antonio di Pietro ha dunque scelto la piazza e mandato a quel paese il Pd. Con questa nuova “vittoria” tattica, Walter Veltroni continua gloriosamente la sua precipitosa caduta verso il nulla: tutto il suo schema politico si è disgregato ed ormai è costretto a prendere atto di avere mandato in Parlamento una forte Italia dei Valori che ha come mission prioritaria proprio quella di combattere il suo partito. Ma i suoi guai non si fermano qui. La logica politica –terreno su cui si dimostra proprio debolino- comporta una immediata conseguenza a questa rottura: anche l’Udc, infatti sarà portata da qui a poco a rompere ogni raccordo con il Pd e a accelerare la sua marcia di avvicinamento al Pdl. La ragione di questo inevitabile spostamento è evidente. Il governo e la maggioranza hanno armi eccellenti per operare questa ulteriore spaccatura del fronte delle opposizioni e già da stamane hanno iniziato a usarle. E’ infatti in gioco in questi giorni l’intera partita Rai, che inizia con la nomina del presidente della Commissione di Vigilanza e che si concluderà con la nomina del nuovo Cda e del nuovo direttore generale, in un contesto ovviamente bilanciato. Bene, per questa carica il Pdl si è già mosso e ha iniziato per la seconda volta (l’aveva fatto già qualche settimana fa), ad offrirla all’Udc, iniziando a spingere per la candidatura del giovane Roberto Rao, già portavoce di Casini, giovane parlamentare che gode di universale stima. Veltroni, naturalmente, vede come il fumo negli occhi questa prospettiva e fa di tutto per riproporre una candidatura vicina al suo cuore, in particolare quella di Giovanna Melandri. Il segretario del Pd si è però messo sotto scacco da solo. Dopo la follia di Piazza Navona, dopo che Di Pietro e lo stesso Leoluca Orlando si sono ben guardati dal prendere le distanze dalle feroci critiche al Pd avanzate da Grillo, Guzzanti, D’Arcais e Travaglio, non può più sostenere la candidatura di Orlando alla presidenza della vigilanza. Sarebbe una mossa tafazziana superiore persino alle sue forze. Ma se tenta di imporre il nome della Melandri –o di altri esponenti del Pd- per bloccare la candidatura di Rao –o di altro esponente dell’Udc- si mette in urto frontale anche con Casini e indebolisce a morte ogni chance che questi inizi un percorso di opposizione comune col Pd.
Il tutto, mentre Veltroni stesso subisce un ulteriore sgambetto, tanto per cambiare, proprio dal suo infido competitor all’interno del partito: Massimo D’Alema. Questi infatti, che urlò allo scandalo e alla lesa maestà quando il Gip Forleo ipotizzò sue responsabilità penali nel caso Unipol –e ne chiese mediaticamente la testa- oggi è intervenuto alla Camera col suo solito tono arrogante e ha invitato Berlusconi a farsi processare (cioè a farsi condannare), senza fare tante storie. Con questo discorso, D’Alema ha cinicamente e freddamente operato per mandare a farsi benedire le possibilità di una qualche intesa per avviare nelle prossime settimane una ripresa di un clima bipartisan sulle riforme istituzionali.
Tutto in cenere, dunque: tattica e strategia del Pd, politica delle alleanze inclusa. Resiste solo la solita, insopportabile spocchia post comunista.