In Serbia nessuno ha ricostruito il mosaico criminale dell’omicidio Djindic

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In Serbia nessuno ha ricostruito il mosaico criminale dell’omicidio Djindic

15 Marzo 2010

A sette anni dall’ omicidio del premier democratico serbo Zoran Djindic, migliaia di persone si sono riunite lo scorso 12 marzo a Belgrado per ricordarne la figura e testimoniare vicinanza alla moglie Ruzica e al figlio Luka. Nelle stesse ore, a poca distanza dal luogo della commemorazione, militanti del gruppo ultranazionalista "1389" hanno pensato bene di piazzare cartelli con la scritta " Boulevard Ratko Mladic" su una delle principali vie della città, coprendo l’ intitolazione all’illustre vittima del terrore.

Per l’ assassinio del politico che iniziò il processo di modernizzazione della Serbia è stato condannato a quarant’ anni di carcere Zvezdan Jovanovic, appartenente ai famigerati " berretti rossi", unità speciale dei servizi segreti creata da Slobodan Milosevic. I veri mandanti dell’ agguato restano a tutt’oggi avvolti nel mistero. La presunta " mente" , individuata in Milorad Ulemek, ex comandante del corpo paramilitare con alle spalle, nel 2000, l’uccisione del presidente Stambolic, pare soltanto un tassello d’un mosaico complesso.

Djindic, bersaglio semplice, visto che in quei giorni si muoveva con le stampelle, fu colpito al petto e alla schiena da Jovanovic, appostato alla finestra di un palazzo nel pieno centro della capitale, nei pressi del palazzo governativo. Un’ esecuzione spietata, certamente preparata nei minimi particolari con un lungo lavoro d’ intelligence, e grazie a quella fitta rete di connivenze tra reparti scelti statali e organizzazioni mafiose.

Appena un mese prima della tragica morte, Djindic scampò a un attentato camuffato da incidente stradale. Un camion guidato da un criminale comune legato a potenti clan di Belgrado cercò di travolgere l’ auto del primo ministro, diretta verso la Repubblica Srpska. Era il segnale che i nemici del politico serbo più stimato dall’ Occidente avrebbero fatto qualsiasi cosa per toglierlo di mezzo. Per quali ragioni? Patti non mantenuti con le stesse organizzazioni mafiose, come hanno sostenuto parecchi analisti e politologi? Timore d’ una nuova linea governativa a tolleranza zero contro la delinquenza infiltrata nei gangli vitali del Paese? (Lo stesso giorno del raid di Jovanovic era filtrata la notizia che il potente clan di Zemun stava per essere decimato dalla polizia.)

O forse si sono innestate nelle vicende interne anche abili manovre di agenti stranieri interessati alla destabilizzazione d’un esecutivo, per l’ appunto, troppo filoccidentale? Mentre queste domande ben difficilmente troveranno risposte precise, intanto  la mafia serba continua la sua crescita d’ influenza. E Ratko Mladic, l’infinita latitanza. Tutto si tiene?