In Sicilia Lombardo strizza l’occhio al Pd e fa infuriare il centrodestra
15 Dicembre 2008
Se fossimo ancora nella Prima Repubblica il governatore della Sicilia Raffaele Lombardo, con ogni probabilità, sarebbe oramai in zona kaputt. Viste invece le nuove regole che prevedono in caso di sfiducia nuove elezioni, l’uomo di palazzo d’Orleans per il momento resta in sella. Eppure sono settimane che tira aria di crisi, o giù di lì. Le ultime puntate raccontano di un vertice di giovedì nella residenza romana dell’ex governatore, Totò Cuffaro, di tutti gli scontenti del centrodestra, dove il leader del Mpa è stato sottoposto a un autentico fuoco di fila.
All’Udc, che in Sicilia è partito di massa, non è piaciuto quasi nulla del nuovo corso della politica locale. I punti d’attrito, in effetti, sono più d’uno. Risalgono alla formazione della nuova giunta regionale, con l’esclusione di alcuni fedelissimi di Cuffaro, a cominciare dal votatissimo (per l’Ars sono ancora in vigore le preferenze) deputato Nino Dina che a sorpresa resta fuori dal governo dell’isola. Dopo quel imprevisto vulnus, è stato in pratica solo un filotto negativo per i seguaci locali di Pierferdinando Casini. E oramai siamo, direbbe l’ottimo Mario Puzo, davvero ai materassi. Il governatore, a colpi di maggioranze variabili all’Assemblea regionale, liquida certe strutture, notoriamente cuffariane e parla più o meno esplicitamente di intese con l’opposizione che, almeno a livello parlamentare, non fa certo orecchio da mercante. E così alle aperture segue un’ulteriore apertura. In una recente intervista, Antonello Cracolici, capogruppo del Pd alla Regione, si spinge ad ammettere: “Vedo che l’attuale maggioranza non ce la fa, e noi abbiamo il dovere di costruire le premesse per formarne una nuova, da portare domani al voto. E i nostri interlocutori stanno giocoforza nell’Mpa, ma non solo lì”.
Contemporaneamente, ancora Lombardo si dice comprensivo verso le ragioni dello sciopero della Cgil mentre continua menar vanto delle iniziative di riordino della sanità, annunciate dal suo assessore, ex magistrato Massimo Russo, e considerate poco meno di una “provocazione” dal grosso del centro-destra.
Niente di strano pertanto che i molti maldipancisti che negli ultimi tempi erano venuti alla scoperto, abbiano deciso di organizzare in qualche modo il dissenso. Al vertice romano degli scontenti, di fianco agli udiccini, era seduto il grosso del Pdl, a parte il gruppo degli amici di Gianfranco Miccichè. Peraltro, accanto ai batti e ribatti dei critici e dei consenzienti, cominciano ad affiancarsi le parole di chi suggerisce la strada della mediazione e indica possibili basi di intesa. E’ il caso dell’ex ministro diccì, oggi parlamentare casiniano, Lillo Mannino, che, a modo suo, avverte, lusinga, ma in ultima analisi e con una certa perentorietà, invita al rispetto degli accordi siglati fra alleati: “L’Udc è stato lo sgabello con cui Lombardo è salito per lanciare la sua candidatura alla presidenza. L’Udc ha fatto sacrificio di sé, il più grande possibile. Adesso spetta a Lombardo comprendere come va ricostruito un quadro di collaborazione per tutti”. Per quanto riguarda l’attuale litigiosità fra alleati, il padre nobile di tanti ex democristiani isolani, spera nel “metodo della collegialità”.
Intanto, fra i Democratici i pontieri perdono qualche colpo. Il segretario regionale Francantonio Genovese lancia uno sorta di stop ad “alleanze anomale”. E precisa che di Lombardo “non ci si può fidare”. Anche le cronache locali di La Repubblica scendono in campo e sollecitano alla vigilanza anti-inciuci sottobanco.