In Spagna Psoe e PP votano insieme la riforma della costituzione

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In Spagna Psoe e PP votano insieme la riforma della costituzione

02 Settembre 2011

Era il 16 agosto quando il premier tedesco, Angela Merkel, e il presidente francese, Nicolas Sarkozy, avanzavano la proposta secondo cui i paesi dell’eurozona avrebbero dovuto inserire l’obbligo del pareggio di bilancio nelle proprie costituzioni, possibilmente entro il 2012. Ieri, il Congresso dei Deputati spagnolo ha approvato a larghissima maggioranza (316 voti favorevoli, 5 contrari) la riforma costituzionale che prevede l’inserimento nella carta fondamentale di una norma anti-deficit. Ora si aspetta l’approvazione anche del Senato, per un disegno di legge dalla marcata natura bipartisan: nata per iniziativa del Partito socialista, è stata appoggiata anche dal Partito popolare, dando vita a una quanto mai rara concordanza tra il premier uscente Josè Luis Zapatero – che dopo la sconfitta alle elezioni amministrative di giugno ha annunciato le dimissioni, anticipando così le elezioni politiche al prossimo 20 novembre – e il leader del PP, Mariano Rajoy, segnalato dai sondaggi come il probabile prossimo primo ministro iberico.

“È una regola che garantisce la stabilità finanziaria – Zapatero ha presentato così la riforma, lo scorso 23 agosto – una riforma applicabile sia al deficit strutturale che al debito”, specificando che un intervento di questo tipo “permetterebbe di rafforzare la fiducia a medio e lungo termine nell’economia spagnola”. Fiducia da parte dei mercati, ovviamente, con in testa le “famigerate” agenzie di rating, i cui giudizi negativi avevano riservato l’ingresso della Spagna nel novero dei PIGS – gli Stati (Portogallo, Irlanda, Grecia e appunto Spagna) con il più alto rischio di default. Ma anche fiducia da parte dell’area euro, o meglio dell’asse franco-tedesca, che sempre più ormai costituisce un mini G2 all’interno dell’Unione europea. Proprio la proposta della Merkel e di Sarkozy d’inserire nelle Costituzioni nazionali l’obbligo del pareggio di bilancio ha agito da moral suasion nei confronti del governo di Madrid, facendo sì che sul disegno di legge di revisione costituzionale convergessero i due principali partiti nazionali.

Eppure l’approvazione bipartisan alla riforma non è un risultato così scontato: secondo la più classica legge non scritta della politica, il Partito popolare, destinato hoc stantibus rebus a vincere le prossime elezioni, si è fatto due conti prima di dare l’appoggio definitivo a una riforma non esente dal rischio di risultare impopolare. Avendo la possibilità di vivere l’atmosfera di Madrid in questi ultimi giorni, chi vi parla ha avuto modo di assistere al ritorno in piazza degli indignados, che protestano contro la riforma e che, con l’appoggio in particolare della sinistra radicale, stanno avanzando l’ipotesi di un referendum consultivo – meccanismo previsto in Spagna, assente in Italia – che vieti l’inserimento della norma anti-deficit in Costituzione. Il loro motto è “No alla dittatura dei mercati”: l’obiezione che muovono alla riforma è che, in tal modo, tutti i governi futuri avranno le mani legate in materia di spesa pubblica e sacrificheranno le necessità dei cittadini in nome della fiducia da parte dei mercati. Contro la riforma si sono mossi anche i sindacati maggiori – il CC OO e l’UGT – che hanno indetto per il 6 settembre una mobilitazione nazionale.

Di sicuro, l’approvazione della riforma dell’articolo 135 della Magna Carta spagnola permetterà alla Spagna di riacquistare credibilità in campo economico (si attendono le reazioni delle Borse nei prossimi giorni). Certamente, l’obbligo di rispettare il tetto del deficit pubblico chiamerà i governanti spagnoli a una maggiore responsabilità, poiché dovranno essere in grado di mantenere i conti a posto (chiederanno informazioni a Tremonti?) ma allo stesso tempo di trovare soluzioni che assicurino la crescita e la spesa sociale senza gravare sul bilancio pubblico.