In un’Italia allo sbando su Dalla va in scena il (solito) ‘fascismo della mente’

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In un’Italia allo sbando su Dalla va in scena il (solito) ‘fascismo della mente’

02 Marzo 2012

Al telegiornale della 7 Enrico Mentana è stato drastico: tutta l’Italia piange la morte di Lucio Dalla, uno dei più grandi cantautori del nostro tempo. Sì, tutta, proprio tutta. Certo ci sarà qualche perfido Franti che rifiuta di mettersi a lutto ma, cosa si vuole?, le ‘pecore nere’ non mancano neppure nelle migliori famiglie. Figurarsi in questa Italia, oggi più che mai ‘nave senza nocchiero in gran tempesta’!

E’ facile prevedere convegni, tavole rotonde, seminari di studio e persino vie, piazze, scuole, asili nido dedicate all’autore di Piazza Grande e di altre canzoni che ‘hanno fatto epoca’. Una scuola materna ‘4 marzo 1944’ la vogliamo o no mettere in conto? E almeno un tema della prossima maturità che commenti i versi sublimi :’Dice che era un bell’uomo/ e veniva, veniva dal mare…/ parlava un’altra lingua…/però sapeva amare’, lo facciamo uscire o no dal cilindro del Ministro della Pubblica Istruzione?

Confesso di sentirmi in colpa. Non sono mai riuscito ad apprezzare l’arte di Lucio Dalla e non mi sono mai commosso sentendo le parole della canzone ‘Caruso’,’Te voglio bene assai/ ma tanto ma tanto bene sai/è una catena ormai/ che scioglie il sangue/ dint’e vene sai’, che mi sembrano vecchi abiti tarlati usciti dal baule del grande repertorio musicale napoletano del passato. Né mi è mai stato simpatico il personaggio, con la sua trasgressività ammiccante (e addomesticata) e il folto pelame debordante da magliette e camice scollacciate. Potrei però sbagliarmi e aver sottovalutato un uomo di spettacolo e un compositore che si piccava di mettere insieme il mondo di Raoul Casadei e quello di Chet Baker.

Non si può escludere che versi come quelli che rivestono le note di ‘Caro amico di scrivo’ –  ’ E si farà l’amore ognuno come gli va,/anche i preti potranno sposarsi/ma soltanto a una certa età,/e senza grandi disturbi qualcuno sparirà,/saranno forse i troppo furbi/ e i cretini di ogni età’ – – verranno un giorno antologizzati accanto a qualcuna delle ultime lettere di Jacopo Ortis. Le espressioni artistiche si collocano su un piano in cui l’antico adagio de gustibus non est disputandum celebra i suoi trionfi.

A me la poetica di Dalla, chissà perché, evoca atmosfere malsane in cui si sovrappongono i cattivi odori di una sagrestia mai ripulita e quelli di una squallida stanza di albergo affittata da lucciole low cost. Ma, ripeto, non escludo affatto di ricredermi un giorno e di sentire nelle canzoni del cantautore bolognese effluvi di Givenchy e di Christian Dior. Grazie anche a qualche utile ‘Guida all’arte di Lucio Dalla’ pubblicata da Laterza o da Feltrinelli, con l’Introduzione di Walter Veltroni e la postfazione di Vincenzo Mollica. 

A rattristarmi – oltre alla tragedia di un uomo che, con l’aumento dell’età media, avrebbe potuto soggiornare ancora parecchi anni in questa nostra valle di lacrime – è, invece, l’immarcescibile ‘fascismo della mente’ che riemerge in circostanze come queste. La ‘perdita’ di chi trapassa a miglior vita, stando a tv e giornali, è ‘totale’: un popolo intero sente di aver perso un amico, un fratello, un interprete insostituibile dei suoi più riposti moti dell’anima, la sensazione di vuoto e di smarrimento si diffonde nelle famiglie, negli ambienti di lavoro, nei luoghi di svago:’niente sarà più come prima!’

Quanti alla ferale notizia hanno reagito con lo stesso dispiacere provato alla notizia della morte del portiere di rimpetto non esistono, sono cancellati proprio come settant’anni fa gli antifascisti, gli omosessuali, gli ebrei. E’ inammissibile che il paese, al gran completo, non segua idealmente il feretro del ‘caro estinto’ e che vi siano persone, non si sa se più ciniche o più incompetenti, che osano dubitare della genialità di Lucio Dalla ! Per il clima che si è creato, già un secondo dopo l’infarto mortale, desterebbe meno stupore mettere in dubbio la genialità di Wolfgang Amadeus Mozart che avanzare qualche riserva sulla musa che ispirava l’uomo nato il 4 marzo.

Ancora una volta viene fuori, in modo inequivocabile, l’incontenibile  smania della sinistra di costruire miti sostitutivi di quelli da tempo inservibili, traendoli non più dalla tradizione rivoluzionaria ma dal quotidiano piccolo – borghese o nazionalpopolare. Grazie a questi maquillages culturali, Fabrizio De André (che faceva parte del  circolo mediatico genovese, con don Andrea Gallo e la mai abbastanza compianta Fernanda Pivano) è potuto diventare un poeta in grado di oscurare Eugenio Montale, ed è facilmente prevedibile che – con la morte di Dalla – i riflettori mediatici punteranno su Roberto Vecchioni. Che si abbia la libertà e il diritto di farlo è scontato ma est modus in rebus!

Detto brutalmente, l’Italia non è affatto in lutto: lo sono, senz’altro, le molte migliaia di fan che affollavano i concerti di Lucio Dalla , compravano i suoi cd e  si ritroveranno, in non pochi, commossi attorno alla sua bara per il rito funebre e la lugubre pagliacciata degli applausi al de cuius all’uscita della bara dalla chiesa; ma ci sono altre centinaia di migliaia di italiani che non pensano affatto che il Parnaso abbia subito una gran perdita e abbassano semplicemente il capo al rintocco della campana a martello indifferenti al fatto che squilli per un protagonista dello star system o per uno sconosciuto.

Attraverso certe figure ‘leggendarie’(!) della musica leggera, del cinema, della TV , secondando vecchi riflessi condizionati, la sinistra o meglio quel che ne resta, cerca di ricostituire un certo consenso etico – politico, di rattoppare un tessuto umano e culturale che si sta sfilacciando, di rifondare una Gemeinschaft  magari su valori più leggeri rispetto a quelli in conflitto della Prima Repubblica, di ritentare un linguaggio comune per una nuova convivialità ‘spontanea’.In assenza di una autentica cultura liberale nei quotidiani della cd ‘destra’ può lavorare indisturbata: su ‘Libero’ e sul ‘Giornale’ si può scrivere che Garibaldi era un  bieco ladro di cavalli ma guai a toccare i miti di Sanremo (a meno che proprio non ti sputino in faccia come Adriano Celentano!).

Al telegiornale della 7, sotto la regia accorta di Enrico Mentana (che merita la direzione della RAI e l’avrà se il centro – sinistra  tornerà al governo), la canzone di Dalla ‘Caro amico ti scrivo’ veniva cantata –  stonando ma non importa anzi ,se si stona, si accresce la ‘naturalezza’dell’esibizione.. – dalle persone di ogni ceto: l’anziana signora borghese intonava una strofa, un gruppo di operai continuava  con un’altra, gli avventori al bar proseguivano con un’altra ancora. Era lo specchio fedele di ciò che sta nei sogni più segreti della sinistra: una catena umana trasversale alle classi e ai ceti che riempia tutta l’arena pubblica, non dia alcuno spazio al ‘trasgressivo, isoli ‘chi non si commuove perché il predicatore non è della sua parrocchia, metta al bando il conformista che si fa un punto d’onore a tenersi fuori dal coro. 

Ci sono cose che sembrano del tutto innocue ma non lo sono e che ci fanno scoprire, e contrario, come la logica del mercato sia, ancora una volta, la vera salvaguardia  dalle tentazioni integralistiche da noi sempre   in agguato, sia pure con camicie e colori diversi. La logica del mercato non impedisce ai milioni di fans di Michael Jackson di venerare il loro idolo, da vivo e da morto, non vieta il fiorente commercio dei ‘cimeli’ e dei souvenir della rock star, né limita il chiasso assordante dei loro raduni ma, in compenso, azzera ogni tentativo di convogliare il pubblico dei supermarket in Tammany Hall (la leggendaria sede dei democratici di New York).

Il mercato, fuor di metafora, non è un terreno favorevole alle strategie consapevolmente o subdolamente politiche che mirano alla ‘nazionalizzazione delle masse’, non più attraverso gli screditati simboli patriottici di un tempo ma mediante le ‘acculturazioni alternative’(elaborate semmai nella parrocchia buonista di don Gallo). Nella sua ottica, sarebbe inconcepibile, ad esempio, far arrivare a tutti i messaggi ‘giusti’ utilizzando l’enorme platea di Sanremo, una platea, non va dimenticato, che la RAI tiene in piedi non con la vendita dei biglietti al botteghino ma con i soldi dei contribuenti generosamente versati da  parlamentari e da ministri sempre pronti a ripianare i debiti della TV pubblica. (E d’altra parte, ‘non si vuol mica consegnare Sanremo al ‘capitalismo selvaggio’?).

‘Ma allora cosa si sarebbe dovuto fare? Non si doveva parlare di un lutto che ha colpito tanti italiani?’ potrebbe obiettarmi l’amico Giuliano Ferrara – una delle poche teste pensanti in circolazione nel centro – destra – che ha aperto,anche lui, ‘Radio Londra’ con una canzone dell’indimenticabile Lucio Dalla. Per carità di Dio! Bisogna informare eccome, fare  servizi, mobilitare inviati speciali e telecamere ma evitando la ‘nazionalizzazione del lutto’ lecita (anche allora, però, cum grano salis..) solo quando muore una grande figura istituzionale che sia riuscita davvero a imporsi al rispetto di tutti.( si parla, ovviamente, di Luigi Einaudi non di Oscar Luigi Scalfaro).

Quando muoiono personaggi ‘popolari’, se ne documenti pure, con grande dovizia di corrispondenze, la popolarità ma si eviti la metaforica traslazione della salma nel Pantheon nazionale. La morte del mio amatissimo Alberto Sordi mi commosse non poco: era un pezzo della mia vita che se ne andava con lui e m’intenerì quasi fino alle lacrime l’omaggio di un fan che, invece dei fiori, depositò sulla bara un pacco di spaghetti con le parole ‘m’hai provocato e me te magno!’ (o giù di lì).

Ma per quanto ‘nazionale’, l’Albertone era il simbolo di ‘una’ Italia (quella dell’’arte di arrangiarsi’), non , per fortuna, di tutta l’Italia : come icona criptopolitica, pertanto, era inutilizzabile, a differenza di Dalla e di De André. Nel suo caso, ai giusti riconoscimenti tributati a un artista davvero grande – – ma che certo non piaceva a ‘tutti’, né lo si poteva pretendere – – , si accompagnò una elegante misura celebrativa e se, in seguito, gli fu dedicata una bellissima galleria al centro di Roma, davanti a Palazzo Chigi, nessuno pensò a imporne il culto da Trieste a Caltanissetta.