Insieme alla Somalia è tutta l’Africa che rischia di sprofondare
08 Ottobre 2010
La Somalia si dissangua ma non è colpa dell’Occidente. Le ultime forze fedeli al governo provvisorio, i caschi verdi dell’Unione Africana, prevalentemente ugandesi, e gli Shabab, si affrontano quotidianamente. Le morti sono il pane avvelenato per i civili, l’unica certezza per i più poveri. Solo di poche ore fa la notizia di altre vittime, una trentina tra esercito e civili. Mogadiscio è sotto il fuoco integralista e non resisterà a lungo. Il Corno d’Africa rischia di capitolare, mentre diventa la nuova frontiera del terrorismo internazionale. È qui che si pianificano gli attentati che rischiano di colpire l’Europa. È qui che l’Occidente è costretto a chiamare l’ennesimo “all in”.
Il presidente ugandese Yoweri Museveni dichiara che il continente nero appartiene al popolo africano e che la Somalia deve essere libera: “Perchè questi stranieri di al-Qaeda che vengono dall’Asia ci chiedono di andare via dalla Somalia? Sono loro gli stranieri che devono lasciare il continente, non noi”, mentre annuncia l’invio di altri ventimila uomini. L’immobilità delle Nazioni Unite è ormai una triste routine, il segretario generale Ban-Ki Moon ha sempre considerato questo territorio troppo pericoloso. L’amministrazione Obama, stretta dalla crisi e forse troppo occupata a fare i conti con le elezioni di mid-term, rifiuta un coinvolgimento diretto, ma per adesso si limita a sostenere azioni segrete. L’Etiopia, l’altro grande attore del Corno d’Africa, dà uno sterile appoggio alla missione dell’UA. Fino a pochi anni fa, si moltiplicavano le accuse contro questi due Stati per la loro eccessiva ingerenza nella regione: ad essere contestata era l’occupazione delle truppe etiopi e l’operato del presidente Meles Zenawi, etichettato come il fantoccio di Bush. Oggi, se ne rimpiange l’assenza. L’Unione Europea resta alla finestra.
Ecco dunque, la grande vittoria, l’ultima zampata di un’ormai anacronistica scuola di pensiero antimperialista, che finisce per soffocare la sua figlioccia prediletta: l’eterna adolescente Africa. Un’economia drogata, viziata che produce corruzione e inefficienza. L’Occidente a partire dagli anni d’oro della decolonizzazione ha favorito orizzontalmente questa parte di mondo. Stravolto dai sensi di colpa e frustato dalle dichiarazioni dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, si è inchinato al Continente nero e paga. Gli anni passano, l’11 Settembre segna una nuova Era e il mondo industrializzato continua a finanziare uno sviluppo che non c’è. Cifre impressionanti che non portano a nulla. Secondo Banca Mondiale e numerosi economisti, gli aiuti stranieri frenano l’Africa.
Quando un governo sa di poter contare su entrate che non dipendono dalle sue attività, siano queste frutto di aiuti esteri o di grandi risorse naturali, perde la necessità e l’interesse di perseguire un coerente e duraturo sviluppo industriale per il suo paese. Inoltre, quando queste entrate economiche finiscono nelle mani di governi poco democratici, come spesso accade, i problemi si aggravano: nel migliore dei casi i governi accentrano su di sé la distribuzione delle risorse, dimenticandosi di incentivare i cittadini a produrre ricchezza, nel peggiore dei casi questo denaro favorisce la corruzione e viene utilizzato per scopi molto diversi da quelli previsti. Il problema va risolto dall’interno.
Basta ricorrere ad UE e USA per poi puntualmente criticare i loro sforzi. Basta diffidenza. Basta con quelle ridicole teorie secondo cui l’Occidente non cesserà mai di dissanguare le terre africane, saccheggiando le sue risorse. È uno spettacolo da filodrammatica, battute improvvisate e dizione scorretta. Sostenere queste idee è pericoloso, linfa vitale per il terrorismo. È necessario responsabilizzare i governi, favorire l’accesso ai mercati finanziari internazionali, supportare il commercio estero, lo sviluppo degli investimenti e del consumo interno, il micro-credito e l’utilizzo dell’innovazione finanziaria legata ai contesti locali. Questa è la strada dell’emancipazione.