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11 Maggio 2008
Era almeno dai
tempi di Auguste Comte che non si leggeva una simile esaltazione del progresso,
che non si incontrava una fede paragonabile in un avvenire trionfante dell’umanità,
dalla realizzazione prossima e dal certissimo avvento,
che non si preconizzava tale progresso e tale avvenire determinato da un
preciso elemento. Mentre la causa del progresso costante dell’umanità in Comte
era la scienza, per Pierre Lévy si tratta della comunicazione elettronica. Chi
l’avrebbe detto? La nostra epoca è stata definita postmoderna, segnata dalla
fine dei grandi racconti, dalla detronizzazione dell’uomo dal posto centrale
che occupava un tempo e dalla caduta delle speranze che avevano sorretto altre
generazioni: l’avanzamento della conoscenza, il progresso, il disporsi delle
vicende storiche in una filosofia comprensibile dall’essere umano e di
carattere universale. E invece, proprio nella nostra epoca, ecco la proposta di
una nuova filosofia della storia dalle seguenti inattuali caratteristiche: è
progressiva, è determinista, è antropocentrica. Gli effetti politici dell’esistenza
di Internet sono pesanti, dal momento
che su di esso si basano sia la visione dell’avvento imminente di una democrazia
di tipo partecipativo sia una previsione
per il futuro: la scomparsa dalla faccia della terra di ogni regime
autoritario, oppressivo, liberticida.
Artefice di questa
filosofia della storia è Pierre Lévy, famoso anche in Italia per aver dato
luogo all’utopia, che ora ripropone, dell’intelligenza collettiva. Ricordiamo
di che cosa si trattava: in un libro del 1994 (tradotto in italiano nel 1996) di
grande successo soprattutto tra gli appassionati del web, Lévy aveva previsto
la formazione attraverso i nuovi strumenti informatici, le reti comunicative a
cui essi hanno dato luogo, e la rete delle reti che li contiene tutti, di un
nuovo soggetto della conoscenza e della comunicazione: una intelligenza
collettiva formata da tutte le singole menti coinvolte e dagli scambi fra di esse.
Questo soggetto sarebbe stato protagonista di una vera e propria rivoluzione:
poiché il proletariato odierno è formato dagli utenti informatici, sono loro
che hanno in mano le leve del mondo. Tutti insieme, essi formano una forza che
è impossibile battere.
In questo nuovo
testo Lévy fa un altro passo sulla via del disegno del mondo nelle mani dell’intelligenza
collettiva. Lévy nutre una grande, grandissima fiducia nelle nuove
caratteristiche della comunicazione e dell’informazione per via elettronica:
ritiene che la creazione del cyberspazio e di Internet rappresenti un punto di
non ritorno nel senso del rapporto privo di mediazioni fra gli utenti, della
scomparsa delle gerarchie dal mondo dell’informazione, di una comunicazione
accresciuta fra gli esseri umani, di una partecipazione effettiva e potenziale alla
vita comune. Invoca Marshall McLuhan nella sottolineatura del ruolo sempre
decisivo che i media hanno avuto nella storia, ma in verità lo studioso
canadese non avrebbe condiviso affatto questa concezione determinista della
tecnologia e degli strumenti di comunicazione. Per Lévy Internet determina l’uso
che è possibile fare di esso: usando la comunicazione elettronica,
automaticamente si hanno le conseguenze descritte. Trascura completamente il
fatto che anche Internet è luogo di interessi, multinazionali, poteri occulti e
palesi, scontri e conflitti; anche il cyberspazio potrebbe essere, prima o poi,
vincolato a spese obbligatorie (non lievi come le attuali) che si tradurrebbero
in un accesso limitato. Non è detto affatto che quella che viviamo sia la fase
definitiva del web. E’ vero che Internet appare nei regimi oppressivi uno
strumento di libertà: ma da qui a farne il motore della libertà delle varie
regioni del mondo il passo è lungo.
Nella visione di Lévy la comunicazione
elettronica produce sempre maggiore democrazia, rende lo Stato e l’esistenza
globali, causa una sempre maggiore partecipazione del cittadino e trasparenza
delle istituzioni, fa crescere costantemente la conoscenza e la consapevolezza,
coordina sviluppo locale e sviluppo globale, armonizza uguaglianza e
differenze, fa sparire la guerra come mezzo di espressione dei diversi punti di
vista, e addirittura mette d’accordo l’utopia marxista con il mercato. C’è un
solo elemento che mette in moto le trasformazioni conducendole a un esito
perfetto e definitivo: la comunicazione elettronica. Tutto il resto è
secondario, insignificante rispetto alla potenza dei meccanismi messi in moto e
avanzanti gloriosamente. Secondario anche nella considerazione dell’autore, che
liquida problemi giganteschi in poche righe.
Il miscuglio
offerto da Lévy è davvero sconcertante: le sue previsioni hanno un aspetto
utopista e un aspetto del tutto realista, e allo stesso tempo hanno un aspetto
attualissimo e un aspetto davvero antiquato. Per un verso, infatti, l’immagine
di una trasparenza sempre maggiore che fornisce ai cittadini conoscenze e
quindi margini di manovra sempre più grandi è davvero ingenua. Per altro verso,
le dimensioni del fenomeno Internet sono ormai talmente ragguardevoli da
richiedere una qualche riflessione su di essi. E ancora, per un verso Lévy immagina un mondo non ancora reale in cui
tutti sono connessi, per l’altro elabora una teoria a tutto tondo delle vette alle
quali Internet ci condurrà che sfida la mentalità dei positivisti più ottimisti.
E’ curioso che,
quando parla di problemi o di questioni globali, Lévy ne scorga solo il lato
positivo: il lato che unisce i cittadini fra loro, che aumenta la loro
presenza, che fa sentire senza tramiti professionali o istituzionali la loro
voce e permette loro di accedere direttamente alle informazioni. Il culmine
viene raggiunto nel disegno di uno Stato mondiale al quale aderiscono
volontariamente tutti gli Stati preesistenti: solutore di tutte le emergenze
planetarie, grande contenitore buono, produttore e esito al tempo stesso di
pace e armonia. Non emergono mai, se non en passant, gli aspetti negativi della
realtà globale: problemi che vanno sotto il nome di inquinamento,
sovrapopolazione, desertificazione. In questi problemi non abbiamo affatto l’impressione
che il ruolo giocato dai vari Stati, macrounità amministrativo-politiche,
grandi regioni del mondo, si sia modellato su quello di una sempre maggiore
consapevolezza dei problemi, di una collaborazione fattiva, della risoluzione
progressiva di quei problemi. Sui problemi globali, come su tutti gli altri, si
esprimono scontri oltre che incontri, si esprime la difesa di interessi
geopolitici, strategici, la fedeltà a ideologie, la continuità con tradizioni
non identiche fra loro. Occorre non dimenticare che le politiche restano
parziali anche nel mondo globale. E non è vero che nel mondo sempre più
globalizzato economia e politica perdono la loro differenza: caratteristica
della politica resta – anche oggi, speriamo anche domani – quella di non
adeguarsi passivamente a uno stato economico dalle dimensioni mondiali.
Lévy
scrive: “Lo Stato non potrà diventare un organismo di respiro planetario o universale
finché ogni rischio di dittatura, di genocidio culturale pianificato e di
totalitarismo non saranno classificati nella memoria umana come delle tappe
superate dell’evoluzione storica. Lo stesso discorso vale per la tortura, la
schiavitù, la censura o le disuguaglianze sancite dalla legge, sia che esse si
riferiscano al sesso, alla ‘razza’, alla casta d’appartenenza, alla nazione o
alla tradizione spirituale.” Ma allora, se è necessario aspettare che questi
problemi siano risolti prima di pensare al futuro armonico globale, pare chiaro
che la realtà unitaria e trasparente della coscienza globale non si realizzerà
tanto presto.
Grandiosa utopia
quella di Lévy, grandiosamente staccata dalla realtà! Ragiona in base a un’idea
di comunità virtuali che si allargano sempre più (sul modello delle chat o dei
forum di discussione) e che realizzano una sempre maggiore partecipazione
volontaria e trasparenza, che mettono in piedi un nuovo soggetto dalla testa
smisuratamente ampliata e dal corpo riunito: l’intelligenza collettiva, appunto.
Quando la realtà fa capolino, ci si chiede come il sogno possa restare in
piedi: Lévy teorizza una sempre maggiore
connessione in rete fra tutte le parti del mondo, una sempre più ampia
standardizzazione dei mezzi che li renda compatibili fra loro. Sostiene ad
esempio: “Tra qualche anno, tutti i computer avranno probabilmente lo stesso
sistema operativo.” Sarà. Per ora, un particolare così banale come le prese
elettriche è diverso fra un paese e l’altro, fra Europa e America. In genere la
realtà si sviluppa per linee che non vanno quasi mai in una sola, unica,
direzione: e non è neppure detto che globalismo e localismo (ad esempio) si
armonizzino necessariamente fra loro. Possono anche scontrarsi, svilupparsi in
modo contrastante. Nell’utopia di Lévy tutto invece (ma proprio tutto) finisce
per armonizzarsi con tutto il resto. Quando accade questo, l’immagine di un
mondo unico, coerente, trasparente e partecipato, nel quale “La specie umana
intera parteciperà alla gestione dell’evoluzione grazie al cyberspazio che sarà
diventato una sorta di sistema nervoso della biosfera.”, assomiglia più a un
incubo che a un sogno: dove potremmo mai rifugiarci in un sistema simile? Quale
angolo non ancora connesso ci accoglierebbe?
Smaterializzazione,
deterritorializzazione: queste le parole magiche che in questi anni sono
servite a catalogare e comprendere le trasformazioni in corso in un mondo che
passava da moderno a postmoderno. Lévy si aggiunge al novero di questi
interpreti. A suo parere quel che importa è il link, il contatto, la
connessione, la comunione profondissima e sempre più interattiva delle
intelligenze singole fino a formare la globale intelligenza collettiva:
bisognerebbe notare che la smaterializzazione è solo parziale, se è vero che
questo mondo reticolare si realizza tuttavia attraverso oggetti tecnici ben
reali, infrastrutture che qualcuno in carne
e ossa ha posto in essere. Così, il territorio, la distanza, lo spazio,
sarebbero stati superati: “Le frontiere geografiche territoriali, le distanze
fisiche che separano le culture, non avranno più rilevanza in uno spazio
ipertestuale densamente connesso.” La favola della deterritorializzazione bisognerebbe
raccontarla ai pendolari.
Non si capisce,
infine, in che modo le diversità potrebbero mantenersi in questo mondo totalmente
coeso mentalmente in modo elettronico. Lévy non lo spiega ma lo predice con
sicurezza: così come tutto si concilia nella sua utopia, anche identità e
differenza, uniformità e individualizzazione si incontrano senza conflitto.
Di fonte ad affermazioni
come queste si possono avere due reazioni: opporre al sogno la realtà, e in
questo caso il sogno (bello o brutto che sia) resta tale. Oppure si può
crederci: e allora un brivido passa per la schiena.
P. Lévy, Cyberdemocrazia,
Milano, Mimesis, 2008, a cura di G. Bianco
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