“Intesa subito dopo l’8 o il Governo può andare a casa”

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“Intesa subito dopo l’8 o il Governo può andare a casa”

“Intesa subito dopo l’8 o il Governo può andare a casa”

03 Dicembre 2013

«E’ meglio dirlo con chiarezza. O nel patto di maggioranza per il 2014 si inserisce a pieno titolo la riforma elettorale e quel che ne consegue oppure questo governo non ha più ragione di esistere». Gaetano Quagliariello, ministro per le Riforme, è stanco di sentirsi le mani legate. E alla vigilia della riunione della Consulta sul Porcellum e del passaggio parlamentare che deve definire le nuove intese di coalizione dopo l’addio di Berlusconi mette in tavola le sue carte.

Lei usa toni quasi ultimativi. E allora come la mettiamo con l’ennesimo nulla di fatto in Senato sulla legge elettorale?

«Guardi, in tante altre occasioni i rinvii hanno avuto ragioni finte o anche inconfessabili. Stavolta una ragione plausibile c’è, e dunque va esplicitata senza infingimenti: il partito di maggioranza relativa è alla vigilia dell’elezione del suo segretario. E poiché la riforma elettorale non è un fatto secondario e anzi inevitabilmente dovrà condizionare gli accordi di governo della rinnovata fiducia, mi pare giustificato che il Pd chieda sia il nuovo leader ad imbastire impegni vincolanti e duraturi. Una richiesta dunque assolutamente comprensibile, naturalmente  a patto che il rinvio valga solo fino all’8 dicembre».

Intanto oggi si riunisce la Corte Costituzionale che potrebbe cancellare il Porcellum. E, insisto, il Parlamento è sempre fermo.

«La Corte si esprimerà e bisognerà rispettare il suo verdetto. Tuttavia non credo che l’orientamento dei giudici sia condizionato da quanto sarebbe potuto accadere in Parlamento. L’attuale meccanismo prima che alla Costituzione è contrario al buon senso. La legge Calderoli era stata pensata per un contesto bipolare, con un premio di maggioranza al massimo del dieci per cento presupponendo che i due schieramenti che si fronteggiavano fossero al 45 per cento ciascuno o giù di lì. Ora i poli sono quattro. Il Pd e i suoi alleati hanno vinto con lo 0,3 per cento in più e il centrosinistra si ritrova con circa il triplo dei parlamentari rispetto all’altro schieramento: una manipolazione peggiore della legge Acerbo. Per non parlare del fatto che ai cittadini non è riconosciuta la possibilità di scelta di deputati e senatori».

Scusi ministro, le ragioni per le quali il Porcellum non va bene sono arcinote. Il punto è: ce la fate a cambiarlo sì o no?

«Assolutamente sì».

Assolutamente sì, ma come? Con chi? E soprattutto: quando?

«Passato l’8 dicembre, eletto il nuovo segretario Pd, la legge elettorale deve essere uno dei cardini del nuovo patto di maggioranza per il 2014. Dobbiamo essere in grado di dire agli italiani: entro 12 mesi modificheremo il bipolarismo, ridurremo il numero dei parlamentari e toglieremo di mezzo il Porcellum. Su questo ci giochiamo la faccia. La fiducia la deve dare una sola Camera. Secondo: possiamo definire i collegi elettorali senza sapere quanti devono essere i parlamentari? E il numero va ridotto non solo per abbassare i costi della politica ma perché oggi mille parlamentari fanno meno bene quello che farebbero 600-650. Aggiungo: questa polemica sul fatto che la riforma è meglio si faccia alla Camera piuttosto che al Senato è una assurdità. O c’è un accordo di maggioranza complessivo oppure il discorso si chiude prima di cominciare>. 

Ministro, lei spiega che giusto aspettare l’8 dicembre. Ma l’8 presumibilmente verrà eletto Matteo Renzi che ha già detto di volere il doppio turno o niente mentre Alfano è contrario. E allora? Il solito gioco dell’oca.

«Io dico una cosa. Su una riforma elettorale che dia la scelta agli elettori, dia stabilità e che quindi non sia uno slogan ma presupponga la fine del bicameralismo, la riduzione del numero dei parlamentari e una nuova forma di governo non abbiamo preclusioni su un turno o due. Alfano ha precisato: collegi o preferenze vanno bene basta che gli elettori possano scegliere. Per parte mia aggiungo: un turno o due si può ragionare basta che il sistema abbia una coerenza di fondo. Non ne posso più di sentire cose che non stanno né in cielo né in terra. Tipo che c’è chi reclama collegi uninominali come in Inghilterra con l’aggiunta di un premio di maggioranza del 25 per cento: un assurdo con esiti catastrofici. Questa si chiama in un solo modo: ignoranza».

E’ ignorante anche chi chiede che la sera stessa del voto si sappia chi ha vinto?

«Vede, io sono sempre stato maggioritario e bipolarista. Però è un fatto assodato, lapalissiano, che nei sistemi parlamentari i governi si fanno in Parlamento e dunque non  può esistere la certezza matematica la sera del voto di sapere chi governa. Si possono creare sistemi che auspicano questo risultato, che indirizzano l’elettore. Ma la garanzia non c’è, e questo è il caposaldo del parlamentarismo. Se si vuole conoscere subito chi ha vinto e chi è il capo del governo bisogna adottare un sistema con poteri divisi: da un parte l’esecutivo, dall’altra il legislativo. Perché così si elegge direttamente il presidente come negli Usa. Aggiungo: questa pretesa arriva da persone che hanno sempre detto di essere proporzionalisti, consociativi, distanti dalla mia cultura politica. Mi sembrano come quelli che si esaltano perché scoprono il sesso a 60 anni».

Lasciamo stare il sesso, ministro. Torniamo a Letta e al dibattito sulla fiducia. Dunque il premier deve ufficializzare che la nuova maggioranza mette al primo punto la riforma elettorale?

«Guardi, in tanti tirano la giacca al governo. Allora diciamo questo: o dopo l’8 dicembre si trova un accordo di coalizione sulla riforma elettorale oppure sarà il governo a scendere in campo, con posizioni chiare davanti al Paese. Evitando un altro giochino: quello al rialzo continuo di chi la spara più grossa. Dopo l’8 e in assenza di accordi nella maggioranza il governo deve prendere una sua iniziativa».

Con un disegno di legge, visto che il decreto è precluso.

«Lo decideremo, le opzioni sono diverse. Però una cosa deve essere chiara: un governo che non fa queste cose non ha ragione di essere».

(Tratto da Il Messaggero)