Invettiva talvolta troppo accesa del tempo in cui viviamo
10 Agosto 2008
Mala tempora currunt: è sotto questo detto che può trovar posto il pamphlet di Claudio Giunta L’assedio del presente. Si tratta di una vera e propria invettiva contro il mondo in cui viviamo: molti sono gli aspetti negativi di questo mondo che cadono sotto l’occhio critico di Giunta, ma uno su tutti gli altri è il problema che viene denunciato: il declino della cultura in un mondo globalizzato e consumista. Una rivoluzione culturale è in atto, secondo l’autore: una rivoluzione che sostituisce la scrittura con immagini da guardare o materiali da ascoltare, che mette la passività al posto dell’attenzione, che si disinteressa del futuro e vive nell’istante, che non si cura della comunità e del bene pubblico, che trasforma la cultura in merce. Questa rivoluzione attraversa destra e sinistra allo stesso modo, e allo stesso modo è incapace di suscitare a destra e a sinistra la reazione che sarebbe necessaria per contrastarla. Si è affermato anche in Italia – sostiene Giunta – “il mondo globalizzato e amministrato dai media”: questo mondo si caratterizza per la trasformazione della cultura in un bene soggetto alle leggi del mercato, per lo svuotamento della scuola e dell’Università, per l’accettazione del moderno, del nuovo, del presente, come somme manifestazioni del progresso.
La descrizione del mondo culturale in cui viviamo è a tinte foschissime: la libertà è solo anarchia e scarico di responsabilità, nessuno si cura della cultura alta, la cultura pop prende il posto della cultura tradizionale, la velocità si sostituisce alla lentezza, la facilità allo sforzo, l’arrendevolezza alla tenacia. Leggiamo: “Coloro che guardano con preoccupazione a questo stato di cose non rifiutano nessuna delle conquiste della moderna civiltà liberale, ma cominciano a sospettare che sotto il nome glorioso di liberalismo si vada facendo strada un modello di convivenza che favorisce la dissoluzione di ogni vincolo e di ogni dovere sociale, l’uso sfrenato della libertà individuale, il rifiuto delle responsabilità famigliari e comunitarie, la manipolazione della pubblica opinione da parte dell’industria e della pubblicità, la sostituzione dell’istruzione con un’informazione sempre più sciocca e superficiale che non consente la formazione di una coscienza critica: in una formula, quella "piacevole forma di anarchia" in cui si riassumeva, secondo Platone (Repubblica, 558c 3-4), l’essenza stessa (l’errore essenziale) della democrazia.”
Si sarà riconosciuto in queste argomentazioni il volto dell’apocalittico, figura consueta che accompagna ogni momento della storia: egli vede nei cambiamenti che avvengono altrettante perdite, scorge nelle nuove abitudini che si affermano significati epocali, generalizza a partire da singoli fenomeni, legge automaticamente ciò che è diverso dal passato come peggiore, vede nelle manifestazioni della cultura attuale altrettante cadute, interpreta questi ultimi anni come un complessivo tramonto di civiltà.
Un segno del basso livello del tempo presente è secondo Giunta il degrado delle Università, e in particolare la moda di assegnare lauree honoris causa a personaggi del mondo dello sport o dello spettacolo. L’autore attribuisce questa abitudine al marketing che ha invaso tutto, anche i luoghi della cultura alta, all’inseguimento di quei luoghi da parte della società civile, al rimescolamento di cultura alta e cultura di massa che ha fatto sì che la preferenza delle masse si dirigesse verso la seconda, con il risultato di una perdita di interesse nei confronti della prima. Anche noi consideriamo le lauree honoris causa a Valentino Rossi o a Franco Battiato un segno, ma il segno di qualcosa di diverso rispetto a ciò che Giunta indica. Ci pare, infatti, che il motivo di questo volgersi delle università a un consenso popolare che si esprime in riconoscimenti eccezionali attribuiti a protagonisti del consumo culturale di massa sia non tanto la fine della cultura quanto piuttosto l’autonomia universitaria con la conseguente caccia ai finanziamenti che ha prodotto. E’ noto che un parametro essenziale per ottenere finanziamenti all’interno di un ateneo è quello della entità della popolazione studentesca: più studenti sono iscritti a una facoltà, più quella facoltà potrà chiedere (e ottenere) nella ripartizione dei fondi disponibili. Questo ha condotto negli ultimi anni le università a fare campagne pubblicitarie, a gareggiare fra loro, a cercare in tutti i modi di ottenere il favore degli studenti e delle loro famiglie: promettendo sicuri sbocchi lavorativi che invece erano incerti, vantando sedi storiche che invece erano solo decrepite oppure sedi adeguate che erano solo nuove, magnificando biblioteche fornite che erano solo un posto per studiare al riparo dalle intemperie, e così via. Uno dei modi utilizzati è stato la attribuzione di lauree honoris causa a personaggi molto popolari ed extra-accademici.
Ciò che si può osservare per questo esempio fatto da Giunta a illustrazione delle sue tesi si potrebbe ripetere per tutti gli altri esempi che compaiono nel libro: si tratta certo di fenomeni presenti nella nostra società, ma il cui significato, la cui origine e il cui fine sono generalmente diversi da quelli mostrati dall’autore.
Nel pamphlet si accusa il presente di disporre di una libertà eccessiva, sfrenata: questa libertà sarebbe una sorta di uragano che spazza via regole e sacrificio, fatica e rispetto del passato, amore disinteressato per il sapere e senso dello stato. Sicuramente il mondo in cui viviamo ha molti problemi, ma non crediamo che la libertà sia uno di questi. La formazione professionale degli insegnanti, il posto della scuola e dell’università nella lista delle priorità dei vari governi che si sono succeduti, la casualità dei rimedi proposti e delle riforme adottate, il rapporto fra cultura umanistica e cultura tecnico-scientifica (ma non certo, all’inverso di quanto afferma Giunta, come schiacciamento dei valori speculativi sotto la ragione tecnico-scienza né come sudditanza alla techne), le trasformazioni del sistema dell’informazione: questi sono solo alcuni degli argomenti sui quali sarebbe opportuno riflettere. Con serietà, informazioni e in modo circostanziato.
Giunta scrive: “Ai liberali piace spesso citare il motto di Mill secondo cui l’unica cosa di cui lo stato dovrebbe preoccuparsi è che gli individui possano crescere liberamente ‘nella più ricca diversità’, ciascuno secondo i suoi talenti e le sue aspirazioni. Ma sorvolano sul fatto che quel motto esprime la necessità dell’azione e non dell’inazione, dell’intervento e non dell’astensione: il contrario del laissez-faire che essi si augurano.” Il Mill che sosteneva la tesi della necessità per una società in buona salute del maggior numero possibile di individui diversi l’uno dall’altro (il primo Mill) non difendeva affatto la necessità dell’azione e dell’intervento, a eccezione dell’intervento limitativo nei confronti di coloro che attentano alla libertà altrui. E’ il secondo Mill che perora la causa di una certa redistribuzione delle risorse all’interno della società per diminuire le differenze esistenti e realizzare un equilibrio fra le varie classi sociali. Ma anche nella sua seconda fase Mill continua a credere fermamente che gli individui debbano potersi esprimere e realizzare al di fuori di ogni condizionamento esterno, salvo quello che si renda necessario per preservare la pace sociale e la libertà di cui devon poter godere tutti. E poi, perché mai il laissez-faire dovrebbe favorire il declino della cultura? Forse Giunta si riferisce a una accettazione passiva del corso delle cose, alla quale però non rimanda affatto l’espressione “laissez-faire”. E l’intervento al quale chiama in che direzione dovrebbe essere rivolto, visto il disastro totale che descrive? Alla restaurazione del mondo locale, limitato, semplice, premoderno, privo di mezzi di comunicazione di massa e di internet? Crediamo siano possibili e necessari seri interventi sulla scuola; più difficile invece ripristinare un mondo ormai perduto.
C. GIUNTA, L’assedio del presente. Sulla rivoluzione culturale in corso, Bologna, il Mulino, 2008, pp. 149, euro 13,50.