Iraq, Afghanistan, Hamas: in politica estera Walter dice tutto e il contrario di tutto
18 Gennaio 2008
Continua a stupire la convinzione di Giuliano Ferrara che la leadership di Walter Veltroni segni una rottura, o una svolta, o un accenno di svolta rispetto alla tradizione dei Ds.
Nella lunga intervista riportata dal Foglio martedì scorso, infatti, si ritrovano esattamente, pari pari, le stesse, identiche posizioni di politica internazionale di Piero Fassino (e di Umberto Ranieri) e ben si è misurato quanto queste abbiano influenzato la politica estera del governo Prodi. Affermazioni anche aperte, interessanti, ma tanto prive di una solida struttura interna, tanto appesantite dai “distinguo”, tanto totalmente slegate da una qualsiasi dottrina, di una precisa collocazione internazionale dell’Italia, tanto esposte alle manovrette di Palazzo romane, che poi non reggono alla prova della vera e propria gestione governativa e si tramutano in quel pasticcio post-comunista a cui oggi assistiamo.
Innanzitutto, Veltroni segna una continuità dottrinale con D’Alema sul punto qualificante, di dottrina: no all’unilateralismo. Questo ha un significato preciso: mai senza Onu o Ue (D’Alema docet). L’obiezione che il multilateralismo sta producendo decine di migliaia di morti in Darfur non conta e si consolida il sospetto che anche W. lo ami tanto perché, essendo impossibile prendere decisioni multilaterali, non si prende mai nessuna decisione.
Segue un’affermazione funambolica sulla carenza di intelligenza politica quanto a crisi irachena, che torna al punto di partenza della più trita posizione neo pacifista dei Ds: “Quella che è mancata nel corso di questi anni è stata l’intelligenza politica applicata alla prevenzione del conflitto”. Che vuol dire, che fumisteria è? Dove svolta questo W. che continua a dire “il problema è un altro”, che fa da eco a Fassino e invoca “intelligenza contro la guerra”? Demagogia pura. Si doveva o non si doveva scappare dall’Iraq l’anno scorso? E oggi perché non ci si va? E in Afghanistan, W. vuole continuare a farsi prendere in giro dagli alleati per la solita ignavia italiota che non rispetta i patti, o rischia oggi la crisi di Prodi sostenendo che bisogna combattere i Talebani?
Quanto all’Iran, al solito si “parla d’altro”, anche se il Foglio lo accredita come filo-Kouchner, là dove, per quanto è riportato, W. sostiene l’opposto di Kouchner, o non dice nulla. Anche George W. Bush oggi è assolutamente dell’idea che “bisogna usare lo strumento della forza come produttore di un negoziato”, come dice W. Il punto è cosa si fa se il negoziato non si produce. Bush e Kouchner l’hanno detto: guerra. W. non lo dice, parla d’altro (e per di più nella sua uscita estiva aveva paragonato i problemi posti dalla bomba iraniana a quelli posti dalla bomba israeliana, ma il Foglio non se ne è accorto).
Veniamo ad Hamas e scopriamo che Veltroni, in chiaro – anche se per apologhi – sostiene esattamente come D’Alema che oggi si deve trattare con Hamas. Lo dice apertis verbis, ma stranamente la follia di questa posizione anti Abu Mazen alla Diliberto – e D’Alema, e Fassino, e Prodi – non viene registrata.
In sintesi: il solito, abituale patchwork di buonismi, condito per di più dall’incredibile richiesta nominalista al Pse perché cambi nome per cavargli le castagne dal fuoco tra le due ex anime del suo partito (che già gli ha valso le pernacchie di Poettering a Bruxelles).
Manca un riferimento, un percorso, una collocazione internazionale, un’analisi, una proposta di alleanze.
Manca tutto. Resta tutto.