Iraq, come mai Wikileaks torna a colpire a ridosso delle elezioni di Midterm?
25 Ottobre 2010
Devono essere bastati pochi minuti per pubblicare, venerdì scorso, sui server di Wikileaks quasi 400,000 documenti segreti sugli aspetti più critici della guerra in Iraq – e non solo gli sforzi degli ultimi anni sembrano volatilizzati, ma anche il futuro, che sembrava già definito col ritiro degli americani, è ritornato improvvisamente incerto.
La nuova tranche di documenti segreti, essenzialmente rapporti sul campo dell’esercito americano in Iraq, divulgata da Wikileaks rappresenta la più grande quantità di informazioni trafugate e pubblicate in rete. Wikileaks ha battuto se stessa a solo pochi mesi di distanza dalla pubblicazione degli oltre 90,000 documenti dell’ “Afghan War Diary”. Ma la logica non cambia: sconvolgere gli equilibri. Ufficialmente Julian Assange, controverso portavoce di Wikileaks, dichiara che lo scopo è sempre quello di denunciare crimini di guerra. In realtà le informazioni svelate definiscono un quadro radicalmente problematico.
Il punto di partenza è il macabro conteggio dei morti: secondo i nuovi documenti di Wikileaks, gli Usa avrebbero omesso almeno 15,000 morti civili tra il 2004 e il 2009. Ma le guerre dei numeri sono molto difficili da vincere. Un altro studio, quello più scientifico di The Lancet, una delle più antiche riviste accademiche di medicina, è anche quello più dibattuto, perché moltiplicava il numero delle morti violente fino a 600,000 – e solo fino al 2006. Quindi è evidente l’attrito con le cifre di Wikileaks. Una delle principali cause di morte sarebbero gli abusi, le violenze, le esecuzioni sommarie praticate dalle autorità irachene sui prigionieri e il loro ricorso abituale a torture ignorate dagli americani, anche dopo lo scandalo di Abu Ghraib.
La responsabilità per gli omicidi quotidiani sembrano ricadere anche sui “contractors” occidentali. In pratica si tratta di milizie armate gestite da aziende private che forniscono servizi di sicurezza ai governi ed altre compagnie. La “privatizzazione” della guerra ha posto il problema della “accountability”, cioè delle responsabilità di questi ‘soldati di ventura’. Infatti sin dagli albori della destituzione del regime baathista, l’Autorità Provvisoria della Coalizione, presieduta dall’americano Paul Bremer, aveva garantito l’immunità a tutti i “contractors”. In poco tempo queste società, come la famosa Blackwater, si sono moltiplicate. Ma non è mai entrato in funzione un organismo di controllo. Così ha prevalso il caos e la violenza.
In mezzo alle migliaia di rapporti trafugati da Wikileaks, viene svelato anche il retroscena di una morte eccellente, quella di Nicola Calipari. L’allora dirigente del Sismi morì il 4 marzo 2005 trivellato dai proiettili di un check-point americano mentre raggiungeva in auto l’aeroporto di Baghdad dopo aver liberato dal rapimento la giornalista italiana Giuliana Sgrena. Secondo le rivelazioni di Wikileaks Calipari sarebbe una vittima del doppio gioco del carceriere della Sgrena, Sheik Husain, il capo della cellula di al Qaeda a Baghdad. Dopo aver intascato 500,000 dollari per la liberazione della giornalista, Husain avrebbe informato il ministero degli interni iracheno che l’auto con Calipari e Sgrena era un’autobomba. Da qui la reazione letale degli americani. Ma c’è un piccolo dettaglio che tiene aperta la questione: Husain si riferisce ad un modello di automobile diverso da quello in cui viaggiano i due italiani. Così il mistero rimane.
Su un piano più politico, Wikileaks era la fonte meno probabile da cui aspettarsi una robusta conferma di uno dei teoremi della dottrina Bush sul Medioriente: il fortissimo coinvolgimento dell’Iran nella destabilizzazione dell’Iraq. Teheran avrebbe fornito armi e addestramento ai ribelli sciiti attraverso le sue Brigate al-Quds, l’èlite dell’Esercito dei Guardiani della Rivoluzione iraniana. La vera notizia, nonché ulteriore conferma della politica estera americana ai tempi di G. W. Bush, è che l’Iran non solo avrebbe generosamente rifornito di armi l’Iraq, tra cui missili terra-aria Misagh-1, lancia-granate, esplosivi adatti per bombe su strada, razzi e fucili con cartucce da ben 99 millimetri. Ma una quota rilevante di queste armi risulta essere di tipo chimico-batteriologico.
E’ vero: l’Iran inviò armi di distruzione di massa (Wmd) in Iraq, insieme ad esperti e all’equipaggiamento per creare laboratori. Se le prove del programma di Wmd del regime di Saddam esistono ma non permettono di valutarne la reale minaccia, grazie a Wikileaks adesso esistono prove ancora più certe che le milizie sciite e iraniane abbiano usato effettivamente armi di distruzione di massa. Ad aggravare la posizione dell’Iran è il fatto che questo sostegno militare si sarebbe avvalso anche di elementi appartenenti ad Hezbollah, dimostrando quanto sia ramificato il network sciita incentrato sull’Iran. Anche sulla politica interna di Baghdad l’influenza di Teheran è particolarmente pressante: numerosi rapporti tratti da Wikileaks riferiscono delle continue interferenze degli iraniani sui politici sciiti iracheni. Lo scopo è evidente: l’Iran usa la leva militare per tenere il governo iracheno in uno stato di permanente fragilità e quindi di subordinazione.
Questa volta Wikileaks scompagina gli equilibri con una tempistica che alimenta congetture sulla situazione a Washington e a Baghdad. Tra due settimane è assai probabile che le elezioni legislative negli Usa saranno vinte proprio dai repubblicani. Perdere la maggioranza democratica in Congresso vorrebbe dire rivedere il “timetable” voluto da Obama per il ritiro militare dall’Iraq entro il 2011. D’altronde Wikileaks dimostra che oggi le forze armate irachene non sono in grado di assolvere al loro dovere. Anche a Baghdad regna l’incertezza, dopo sette mesi di stallo nel tentativo, vano, di formare un nuovo governo. Il premier uscente, lo sciita Nouri al-Maliki, sembrava essere riuscito a formare una coalizione. Ma dopo il clamore suscitato da Wikileaks, è diventato più complicato per al-Maliki presentarsi col sostegno palese dell’Iran e di Muqtada al-Sadr, potentissimo leader religioso e militare sciita che, secondo i dati di Wikileaks, è stato fortemente sostenuto proprio dall’Iran. Anche gli Usa accettano l’ipotesi di un al-Maliki bis, ma con l’ingresso nella sua maggioranza della lista al-Iraqiya, la principale coalizione delle forze sunnite. Quindi la trattative restano in alto mare.
Dopo le rivelazioni di Wikileaks diventa davvero complicato portare avanti la exit strategy di Obama di fronte ad una situazione così pericolosamente instabile. Come per l’Afghanistan, anche in Iraq i tempi della transizione alla democrazia e alla stabilità si allungano notevolmente. Il dato di fatto è che il destino dell’Iraq resta ancora nelle mani di stranieri, americani e iraniani, più che mai distanti.