Iraq: luci e ombre della nuova strategia americana
08 Febbraio 2008
I successi del surge (o operazione Fardh al-Qanun cioè ‘imposizione della legge’) lanciato nel febbraio 2007 e incentrato sulla strategia ‘clear, hold and build’ sono innegabili e nessuno si sogna di contraddire i fatti; anche i democratici americani più pacifisti hanno smesso di sventolare la bandiera del ritiro immediato. E il merito della nuova strategia di contro insorgenza, con la sua enfasi verso la protezione della popolazione, va tutto ai generali Petraeus e Keane, a Fredrick Kagan, ai senatori John McCain, ora candidato alla Casa Bianca, e Lindsey Graham, contro le obiezioni dell’ex segretario alla Difesa Donald Rumsfeld (How Bush Decided on the Surge, Fred Barnes sul Weekly Standard del 4 febbraio). E’ stata una scelta sofferta. Va ricordato che molti, anche tra i generali, volevano che l’esercito americano rimanesse neutrale durante il bagno di sangue della guerra civile tutti contro tutti. Più complessa, però, rimane la questione dello stato della politica, delle istituzioni, dell’economia e in modo particolare della fornitura dei servizi. E’ davvero possibile intravedere un qualche progresso significativo verso la normalità, il compromesso e la riconciliazione tra le varie fazioni in lotta?
L’obiettivo di una soluzione concordata tra sciiti, sunniti e curdi, rimane l’unico sbocco possibile della battaglia per la sicurezza ingaggiata da Petraeus. L’idea su cui poggia il surge è che la riduzione della violenza dovrebbe rendere possibile la riconciliazione nazionale, a condizione che la pacificazione produca una soluzione politica concordata, altrimenti il contraccolpo sarebbe ancora più terribile. Dice, in proposito, Joseph L. Galloway: “Ogni comandante militare americano in Iraq ha ripetuto in continuazione che non vi può essere nessuna vittoria militare USA in Iraq, ma solo una soluzione politica fra il popolo iracheno”. E’ vero che, a questo punto, gli americani hanno chiaro il loro obiettivo strategico (la presenza attiva in Medio Oriente e la costruzione di una morsa in funzione antiraniana), ma questo risultato non può essere raggiunto senza la stabilizzazione dell’Iraq e la risoluzione degli attuali conflitti in corso.
Un parametro utile, sebbene non esaustivo, per comprendere come stiano andando le cose in Iraq è la verifica dei famosi benchmarks codificati in un documento, Initial Benchmark Assessment Report, presentato al Congresso americano il 12 luglio nel quadro di una legge nazionale. L’obiettivo da raggiungere è sempre lo stesso: la costruzione di un Iraq democratico che si possa governare, difendere, mantenere sulle proprie gambe e un Iraq alleato nella guerra contro il terrore. Per raggiungere lo scopo, è necessario che il governo centrale si riconcili con la società irachena per assicurare la sicurezza della popolazione, garantire i servizi essenziali e promuovere il benessere economico. Nel luglio dell’anno scorso, l’amministrazione Bush prendeva atto delle debolezza, della parzialità e dell’incapacità del governo Maliki, e ha così cercato di elaborare una strategia complessiva per uscire dal pantano iracheno. Perché quello che spesso si dimentica è che i successi militari nelle guerre di contro insorgenza sono solo una componente che non può prescindere da una soluzione politica coerente con gli obiettivi militari e i metodi scelti.
Per il 2008, gli americani si pongono otto importanti obiettivi: la sconfitta di Al Qaida; la sicurezza e la fine della violenza settaria a Baghdad e nelle zone limitrofe; la garanzia dell’integrità territoriale dell’Iraq e la difesa dalle attività siriane e iraniane; la salvaguardia della democrazia e il rafforzamento delle istituzioni; l’incoraggiamento delle condizioni per una riconciliazione nazionale sotto gli auspici di una governo nazionale; il rafforzamento delle Forze di Sicurezza irachene (ISF); favorire dell’espansione dell’economia e, in modo particolare, la produzione e l’esportazione del petrolio; indurre i paesi limitrofi e, in generale, l’intera comunità internazionale ad offrire il proprio supporto al nuovo Iraq.
Lo snodo tutto politico riguarda le modalità con cui i differenti gruppi possono trovare una possibile convivenza – separazione, federazione, stato centralizzato -, soluzione che esplicherebbe i suoi effetti sull’assetto istituzionale e sul rapporto tra governo centrale e poteri locali. La preferenza americana va, correttamente, a un Iraq democratico e federato.
Ma torniamo ai nostri parametri. Il ragionamento americano è lineare: da una parte, abbiamo i suddetti obiettivi di lungo periodo; dall’altra, abbiamo una strategia sia militare (il surge di Petraeus) che politico-sociale i cui risultati devono essere misurati, appunto, sui diciotto benchmarks. La questione centrale cui dare risposta è se, presa come punto di riferimento la situazione al gennaio 2007, è possibile affermare che gli attuali dati presentano un trend positivo nella direzione di uno scenario soddisfacente a breve termine.
Dell’evolversi della missione sul campo, il presidente Bush deve rendere conto davanti al Congresso e agli elettori in modo regolare, cosa che ha fatto anche nell’ultimo discorso sullo stato dell’Unione. Il punto meno controverso, paradossalmente, risulta essere quello della sicurezza perché è il terreno dove, come si sa, si registrano i migliori risultati. Al Qaida sembra sconfitta e cacciata da Baghdad e dalle province di Anbar, Diyala e Salah ad Din, mentre la violenza settaria è enormemente diminuita nella capitale (è di questi giorni il lancio di una potente offensiva nel nord dell’Iraq, nella città di Mosul, contro le basi di Al Qaida che vede impegnate la nona divisione irachena, una brigata di fanteria, una di polizia ed elementi delle forze speciali). Bush lo ha spiegato in modo molto efficace: “Qualcuno può negare che il surge stia funzionando, ma fra i terroristi non vi sono dubbi”.
E’ sul piano però della riconciliazione politica che si registrano molte più ombre. Le élite nazionali irachene mancano ancora di un patrimonio di idee condiviso senza il quale è impossibile immaginarsi qualsiasi fuori uscita dal caos. Esse appaiono piuttosto divise in linee di frattura etniche, religiose, tribali. Non solo, il potere centrale appare estremamente debole e inibito nella sua azione da un gioco di veti incrociati. Per ora, come risulta anche dall’esperienza della contro insorgenza inaugurata nell’ultimo anno, la strada prescelta e che ha dato i migliori risultati si è rivelata quella a partire dalle situazioni locali, dal basso verso l’alto. La frammentazione interna è inoltre acuita dall’appoggio che le varie fazioni ricevono dai paesi confinanti, dall’Iran alla Siria. I rapporti con questi stati rimane infatti sempre difficilissima. Non ci sono segni infatti di un coinvolgimento minore da parte dell’Iran che continua a finanziare gruppi sovversivi, e della Siria, da cui provengono nuclei di attentatori suicidi. Successi si registrano invece nei rapporti con gli altri stati, dall’Egitto all’Arabia Saudita, come dimostrato dal vertice di Sharm el-Sheik del 3 maggio 2007, dove assieme all’Onu fu lanciato l’International Compact for Iraq, un’iniziativa per costruire una cornice per l’integrazione economica irachena nella regione e a livello internazionale. Lo stato dell’economia e dei servizi essenziali non è roseo. Si registrano lievi miglioramenti nel numero di disoccupati e nella crescita del reddito (per quanto modesta), sebbene la situazione economica risulti differente da provincia a provincia e in tal modo vada considerata.
Entrando nel dettaglio del rapporto, analizziamo i diciotto benchmarks:
1 – “Formazione di un comitato per la revisione e il completamento della costituzione” incaricato di risolvere quattro questioni: l’ambito dei poteri presidenziali, il rapporto tra potere centrale e poteri periferici, lo status della città di Kirkuk, l’indizione di un referendum istituzionale per approvare le modifiche costituzionali. Il comitato è stato formato, ma per ora si registra un nulla di fatto.
2 – “Revisione della legislazione sulla debaathificazione che penalizzava in modo particolare i sunniti determinandone la loro opposizione, spesso con conseguente scelta terroristica, al nuovo Iraq”. La nuova legge è stata finalmente approvata e quindi sarà possibile per i quadri inferiori dell’esercito e per chi non ha commesso crimini essere reintegrato nella vita civile e soprattutto godere dei diritti pensionistici acquisiti (si veda quanto espresso sull’argomento da Carlo Panella).
3 – “Approvazione di una legge nazionale su di una distribuzione equa tra i diversi gruppi delle risorse derivate dalla vendita del petrolio”. Qui non si registra nessun progresso, ma è un punto centrale perch%C3