Iraq senza pace, il nuovo governo nasce sotto le bombe

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Iraq senza pace, il nuovo governo nasce sotto le bombe

05 Novembre 2010

Mangia l’Iraq e hai fatto scacco a Washington. Nel paese dai mille frammenti etnico-religiosi, ancora lontano dalla solidità democratica, il ritiro delle truppe americane e la strategia del presidente Obama sembrano essere a rischio. Chi aveva creduto in una Baghdad pacificata si sbagliava, lo dicono i fatti. I segnali che il terrorismo e l’insorgenza potessero riemergere si potevano leggere ovunque, bastava volerlo: un Paese senza governo da otto mesi non è proprio la normalità.

La politica irachena non può essere considerata esclusivamente come un “affare interno” ed è pericoloso parlare di domestic jurisdiction. I riflessi di quel che accade a Baghdad travalicano i confini dello Stato e coinvolgono non solo il mondo mussulmano, ma anche le terre occidentali. L’Iraq è un ipercubo, un cubo immerso in uno spazio a quattro dimensioni, in cui azione politica nazionale e regionale si intrecciano formando un’unica, complessa realtà.

In Iraq possiamo distinguere tra attori “micropolitici” e “macropolitici”. All’interno del Paese spiccano soprattutto due nomi, l’ex primo ministro Iyad Allawi, leader del Blocco Iracheno, appoggiato dalla comunità sunnita, e Nuri al-Maliki, primo ministro uscente, capo dell’Alleanza dello Stato di Diritto, movimento sciita. Entrambi puntano al governo del Paese.

Fuori, Iran e Arabia Saudita giocano ognuno la sua partita. Ahmadinejad ed il re Abdullah sanno bene che avere Baghdad come vassallo sarebbe un elemento fondamentale per ergersi a stati-guida del mondo arabo. Il regno saudita, partner più o meno leale dell’Occidente, promuove la candidatura di Allawi, formalmente vincitore delle elezioni, con due seggi in più del rivale al-Maliki (troppo pochi per governare). Allawi può contare tra i suoi alleati, gli ex-baathisti, sunniti, che con la caduta di Saddam Hussein furono estromessi dal potere, oltre che da ogni meccanismo statale. Per molto tempo sono stati considerati dei fuorilegge, spogliati di tutto. Abbandonate le armi e senza diritti, hanno dovuto aspettare il surge per sperare di rientrare nel gioco politico nazionale. In effetti, il loro ingresso in Parlamento segnerebbe un grande passo avanti per la pacificazione del Paese.

Teheran, da parte sua, sostiene al-Maliki con il quale avrebbe stretto un accordo: l’Iran sarebbe pronto a persuadere la fazione radicale e fedele a Moqtada al Sadr ad allearsi con lo stesso Al Maliki; in cambio, quest’ultimo s’impegna a non prorogare il mandato  statunitense e britannico sulle basi militari nel Paese oltre il  prossimo anno. Ad oggi, sembra che al-Maliki abbia raggiunto un compromesso anche con la comunità curda, divenuta il vero ago della bilancia di queste elezioni. L’alleanza può garantire la maggioranza utile per governare, ma potrebbe verosimilmente provocare le reazioni  della minoranza sunnita, se questa rimanesse fuori dal governo. Il rischio è che le violenze nel paese possano ulteriormente aggravarsi.

In un contesto simile, è facile intuire quanto l’Iraq stabile e sicuro sia solo un miraggio. Undici autobomba, un centinaio di morti e mezzo migliaio di feriti in un solo giorno, ne sono la prova. Abu Dashir, Sadr City, quartiere di Our, al-Biya sono solo alcune delle zone colpite. Questi attacchi seguono la domenica di sangue vissuta nella chiesa cristiana “Sayidat al Nejat” (Nostra Signora della Salvezza), di culto siro-cattolico del quartiere di al-Karrada, dove un commando si è asserragliato prendendo in ostaggio fedeli e due sacerdoti. Il blitz delle forze irachene per liberarli si è trasformato in un bagno di sangue: 52 le persone rimaste uccise. L’azione è stata rivendicata dallo "Stato islamico dell’Iraq", cellula affiliata ad al-Qaeda. C’è grande timore tra le comunità cristiane medio-orientali. Le cifre che testimoniano l’esodo verso Occident sono impressionanti. Il massacro di Baghdad è solo l’ultimo esempio della pulizia etnica contro i cristiani nell’area.

Un Iraq politicamente debole, ancora diviso, instabile e schiavo dell’integralismo su base etnica e religiosa. Il  Parlamento si riunisce lunedì e al-Maliki potrebbe prendere il potere. Non ci resta che attendere e sperare che il suo insediamento non sia salutato da una nuova selva di bombe.