Israele comincia a temere il “nemico della porta accanto”

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Israele comincia a temere il “nemico della porta accanto”

28 Luglio 2008

Gerusalemme. Il direttore dello Shin Beit, Yuval Diskin, gli ha dato anche un soprannome: “Terrorismo popolare”. E’ un nuovo, allarmante prodotto del radicalismo islamico e ha a Gerusalemme Est la sua fabbrica.  Tre attentati “fai da te” in 4 mesi hanno fatto accendere la luce rossa nelle stanze dei massimi responsabili della sicurezza di Israele. Il 6 marzo  Alaa Abu Dhein, residente a Jabel Mukaber , entra nella Scuola rabbinica Merkaz Harav di Gerusalemme e uccide 8 studenti. Il 2 luglio Hosam Dwayyat, del villaggio di Sur Bahar, lancia il suo trattore lungo la centralissima strada di Jaffa, uccidendo 3 passanti. Meno di tre settimane dopo, lo scorso 22 luglio, il gesto viene emulato da Asam Abu Tir, di Umm Touba, che col suo bulldozer semina il panico proprio sotto le finestre dell’hotel King David a poche ore dall’arrivo di Barak Obama.

Episodi frutto di iniziative individuali, senza apparente legame, sostiene la polizia. Ma il filo verde del radicalismo islamico li tiene insieme. Basta visitare i 3 villaggi di Gerusalemme Est da dove provenivano i terroristi per rendersene conto. Le foto formato “martire” di Alaa Abu Dhein, sono attaccate su tutti i pali della luce.  Presto anche quelle di Asam Abu Tir e Hosam Dwayyat troveranno il loro posto d’onore in villaggi che Israele considera parte indivisibile della capitale.

La contraddizione tra retorica e realtà è ancor più evidente nel campo rifugiati di Shuafat, anch’esso parte della “Grande Gerusalemme”. I muri sono letteralmente tappezzati di slogan e simboli di Hamas. A Beit Hanina, dove risiede la borghesia palestinese di Gerusalemme,  l’ostilità anti israeliana è meno pronunciata, ma si possono facilmente trovare graffiti che auspicano “morte ad Israele”.

In un rapporto alla Knesset,  pochi giorni fa, Diskin ha messo il dito nella piaga. Ha parlato di vuoto di potere a Gerusalemme Est. I segni della legge israeliana nella parte orientale di Gerusalemme sono in effetti quanto mai labili. Molte strade non hanno nomi, non c’e’ un regolare servizio postale. Inferiori per qualità e quantità tutti gli altri servizi municipali. E dall’inizio della seconda Intifada è impedita alcuna presenza organizzata dell’Autorità palestinese di Abu Mazen.

Un vuoto di potere che si sta rivelando estremamente pericoloso. I 290 mila residenti arabi di Gerusalemme Est hanno una carta d’identità blu che garantisce loro lo status di residenti permanenti, non quello di cittadini. Tra i loro diritti, oltre ad assistenza e previdenza, c’è quello della piena libertà di movimento. Israele, che ha preso misure draconiane per difendersi dal terrorismo proveniente da Gaza e dalla Cisgiordania, scopre ora di avere un nuovo nemico, il nemico della porta accanto, perpetrato da residenti della stessa città, spesso insospettabili, che sfuggono alle maglie dello Shin Beit, anche perché non hanno una organizzazione alle spalle e non necessitano di una infrastruttura terroristica.

Le statistiche ufficiali israeliane mostrano che solo 270 arabi di Gerusalemme Est sono stati coinvolti in attività terroristiche dallo scoppio della seconda Intifada. Un numero che rappresenta lo 0,1 per cento della popolazione. Ma la tendenza è alla crescita rapida dei casi. Nel 2005, solo 9 residenti di Gerusalemme Est erano stati arrestati per attività terroristica. Nel 2006 il numero era salito a 61, e dopo la battuta d’arresto del 2007, solo 37 casi, l’impennata di questa’anno, che è ancora alla metà, e già segna un record con  71 arresti.

A aumentare l’allarme, la notizia dell’arresto di una cellula che faceva riferimento ad Al Quaida: 6 persone di cui 4 di Gerusalemme Est. Anche se i loro piani non avevano mai passato la fase progettuale, avevano acquisito informazioni sui siti internet della Jihad globale per fabbricare esplosivo e avevano anche osservato gli spostamenti del presidente Bush durante la sua ultima visita.

A propagare il fondamentalismo islamico a Gerusalemme Est non sono Hamas o la Jihad Islamica, almeno non in prima persona dato che le loro infrastrutture sono state  smantellate. Piuttosto, la penetrazione avviene attraverso il proselitismo sotterraneo che ha il suo fulcro nelle moschee. Chi le frequenta, per pregare, sostiene che non è difficile essere avvicinati da elementi radicali. Le indagini sui tre recenti casi di terrorismo “fai da te” non hanno svelato mandanti o reclutatori.  Sembrerebbero attacchi decisi in solitudine. Probabilmente sospinti però da un’atmosfera che dipinge come eroiche simili imprese.  Non a caso, i due arabi che hanno usato il trattore avevano precedenti criminali. Col loro gesto anti israeliano hanno riscattato l’onore della famiglia. Gli inquirenti ammettono che simili attacchi sono impossibili da prevenire. Per questo fanno ancora più paura.