Istituire la parità dei sessi per legge va contro i principi della teoria liberale
13 Marzo 2011
Laddove la cultura civile si mostra sonnolente, interviene, come una scure gelida, la legge. Accade così per le quote rosa. Non c’è dubbio che il nostro paese, mediterraneo, mammocentrico, familistico, e un tantino bigotto, segni dei ritardi sul tema dell’emancipazione femminile: poche donne nei posti chiave della politica, dell’imprenditoria, delle professioni; poche donne là fuori a dimostrare ciò che valgono, blindate come sono nelle routine domestiche.
Non c’è dubbio tuttavia che imporre per legge – per quanto graduale possa esserne l’attuazione – la parità tra i sessi, ci lascia in bocca un retrogusto un po’ “bolscevico”, che ci insospettisce. In effetti imporre per legge un valore sociale sa già di dogma tecnocratico; non foss’ altro perché obbliga una scelta che altrimenti sarebbe libera. Invece che un’intervento impositivo ex-post, ci piacerebbe vedere un intervento costruttivo ex-ante.
La forza della teoria liberale infatti si basa sull’emancipazione dal concetto di uguaglianza. L’uguaglianza di per sé è qualche cosa da cui rifuggire perché nemica del merito, della volontà intima, in una parola, della libertà individuale.
La storia ci ha insegnato che ogni tentativo di istituzionalizzazione dell’uguaglianza ha degenerato nella dittatura; la società aperta e democratica ci ha insegnato che ciò che conta non è l’uguaglianza ma l’uguaglianza di opportunità. Tenendo ben saldo questo principio – evitando di cedere al fascino della sociologia scolastica preconfezionata a Bruxelles – si deve agire sui protocolli del nostro stato sociale cercando di attivare politiche di redistribuzione dei compiti tra uomo e donna e di agevolazione del lavoro femminile.
Lo stato sociale dovrebbe attivare una serie di meccanismi correttivi che puntino ad emancipare il gentilsesso, ma che siano in grado di costruire attorno a questa emancipazione un senso civico ed un destino condiviso. Solo in questo modo lo Stato e le istituzioni che lo rappresentano, si smarcano dall’immagine del Leviatano tiranno e divengono costruttori di civiltà. Queste politiche dovrebbero agire in tre direzioni principali : sostegni alle aziende che assumono le donne; pacchetti pater familas per incentivare la partecipazione domestica maschile, e infine servizi statali e agevolazioni economiche alle madri lavoratrici.
In questo modo il sesso non sarà più materia discriminatoria: i consigli di amministrazione verranno scelti in base al merito, la gestione della famiglia verrà decisa in base ad un’equa ripartizione delle fatiche, e la questione – d’interesse puramente algebrico – di quanti posti di comando siano o meno occupati da donne, verrà dimenticata.
La differenza tra i “regimi intellettuali- tecnocratici” e quelli liberali sta proprio in questo : i primi intervengono direttamente sul fine, i secondi discutono sul metodo per raggiungere tale fine. La differenza? La libertà della società civile.