Italia in Afghanistan: perché dobbiamo supportare le nostre truppe
22 Settembre 2009
di redazione
Di tragico quanto la recente scomparsa dei sei soldati per mano di un attentatore suicida, c’è stata solamente la reazione di molte realtà politiche e mediatiche italiane che hanno immediatamente chiesto il ritiro delle truppe. Questi signori stanno involontariamente incoraggiando la determinazione e l’estremismo degli insorti che combattono contro la presenza internazionale in Afghanistan e il ristabilirsi di quel regime di tirannia e oppressione che è durato dal 1996 al 2001.
Questo tipo di comportamento non fa altro che incoraggiare ulteriori attacchi e mettere ancora più a repentaglio le vite di afghani e stranieri che stanno lottando per costruire un Afghanistan migliore e di conseguenza contribuiscono anche a incrementare la sicurezza internazionale. Inoltre, questo stesso comportamento farà in modo che gli insorti giungano alla conclusione che aumentare il numero degli attacchi e la violenza contro le nazioni straniere provocherà reazioni di politica interna sempre più vaste e alla fine porterà al ritiro degli eserciti "invasori".
Invece di supportare e incoraggiare le loro truppe di terra nel momento del più grande bisogno, molti politici e mezzi di comunicazione italiani tentano facili guadagni mediatici a breve termine e a discapito dello stesso interesse nazionale italiano, della reputazione del loro paese nel mondo e della sicurezza dei cittadini. Questa gente non sta soltanto denigrando il sacrificio dei sei soldati morti e mettendo a rischio le altre truppe e le persone coinvolte nella missione in Afghanistan e in altre missioni di peace-keeping in giro per il mondo. Questa gente sta anche (poco saggiamente) mettendo a repentaglio l’intera missione internazionale e tutti i suoi membri, sia militari che civili, assieme alla stabilità e alla sicurezza globale.
È tempo che questi influenti elementi della vita pubblica italiana maturino e assumano maggiore responsabilità. Tra le quaranta nazioni che partecipano alla missione in Afghanistan, l’Italia è il quarto paese per numero di truppe, per non parlare della sua significativa presenza a livello civile e della leadership di missione nell’Afghanistan occidentale, dove un Generale italiano è a capo del Regional Command West. Essendo tra le prime dieci economie al mondo, l’Italia è anche un principale e importante membro della comunità internazionale e gioca per questo un ruolo vitale nelle missioni di peace-keeping a livello mondiale, anche in delicate polveriere come il Libano e i Balcani.
Gli appelli al ritiro delle truppe da parte dei politici italiani e dei mezzi di comunicazione serviranno soltanto ad abbattere la determinazione dei soldati e saranno una fonte di imbarazzo, e potenziale risentimenti e contrasti, nel momento in cui le truppe italiane interagiranno con i loro colleghi di altre nazionalità che stanno contribuendo alla stessa missione in Afghanistan. Per non parlare di altri mandati di peacekeeping in cui i soldati italiani sono coinvolti. Oltre a questo, gli appelli al ritiro serviranno soltanto a scoraggiare i civili afghani che lavorano e interagiscono con gli italiani per paura delle conseguenze future. Questa gente arriverà alla conclusione secondo cui, visto che i soldati italiani possono andarsene in ogni momento, è meglio non collaborare con loro per via delle eventuali ritorsioni degli insorti contro chi è andato a braccetto con gli stranieri "invasori".
Durante un recente viaggio in Afghanistan, sono stato in grado di entrare in contatto con i soldati italiani di stanza a Kabul ed Herat e ho potuto toccare con mano la loro serietà, professionalità e attaccamento alla missione. Se soltanto qualcuno tra i politici e i giornalisti italiani riflettesse le stesse qualità di questi soldati, l’Italia sarebbe un posto molto migliore per i suoi cittadini e al contempo godrebbe di una maggiore considerazione all’estero.
Traduzione Andrea Holzer.