Italiano per stranieri, più concorrenza tra atenei e insegnamenti mirati

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Italiano per stranieri, più concorrenza tra atenei e insegnamenti mirati

23 Gennaio 2014

L’articolo di Roberto Santoro “Imparare l’italiano all’estero non basta, bisogna liberalizzarlo” pone un problema di grande portata. Ovviamente sono molti i settori interessati, ma mi concentro sull’istruzione universitaria perché è quello di cui mi occupo dal punto di vista professionale.

E’ giustissimo e sacrosanto il rilievo che la nostra attuale rete di formatori – se così vogliamo chiamarli – è del tutto insufficiente. I motivi sono tanti. I pochissimi atenei nazionali abilitati a impartire corsi d’italiano per stranieri lavorano in una situazione di “quasi” monopolio. Difficilissimo ottenere dal MIUR il permesso di condurre tali attività, e non si comprende davvero il motivo.

Se una università che non fa parte di tale ristretta cerchia dimostra di possedere le competenze adatte e la volontà di investire risorse in questo campo, perché le si deve negare la possibilità di entrare nel mercato? Servirebbe a rendere meno asfittico il sistema, consentendo inoltre agli studenti stranieri di non concentrarsi in due o tre sedi con tutti i problemi di sovraffollamento che ciò comporta.

Non solo. E’ noto che la Dante Alighieri, per quanto faccia miracoli con i pochi spiccioli concessi dai vari governi, è ampiamente sottofinanziata rispetto agli enti stranieri paragonabili. Si pensi, per citare solo gli esempi più noti, a Campus France, al British Council o alla tedesca DAAD.

C’è, in altri Paesi europei, la consapevolezza forte che la promozione della propria lingua e cultura nazionale rappresenta sia uno strumento di politica estera, sia la chiave per posizionarsi al meglio in un mercato dell’istruzione superiore cambiato in profondità grazie alla globalizzazione.

Eppure, nonostante questi inconvenienti, gli studenti continuano ad affluire numerosissimi in Italia. I nostri atenei non sono poi così scarsi come dicono le classifiche internazionali (per lo più elaborate in Cina), e il fascino della lingua e della cultura italiana è sempre forte in ogni parte del mondo.
Non illudiamoci, però, che la privatizzazione risolva tutti i nodi descritti da Santoro.

C’è già una miriade di istituzioni private che offrono corsi d’italiano, sia all’estero sia sul nostro territorio. Difficile però controllarne la qualità in assenza di una normativa nazionale efficace, con regole chiare e snelle. Se posso permettermi un suggerimento, bisognerebbe che i nostri italianisti puntassero meno sulla letteratura e più su insegnamenti mirati. Per esempio, italiano per economisti, per scienziati, per ingegneri etc. E’ questo uno dei fattori che consente alle università francesi e tedesche di essere più “appetibili” rispetto a quelle nostrane.