Jovanotti alla Sapienza racconta che non c’è successo senza Fede
22 Gennaio 2010
La sfida è quella di parlare di successo, di creatività, di confronto, di vita. Non sono né un palasport né un teatro a fare da sfondo alla scena. Non sono le note, la chitarra, o il rap a fare da contorno. È un Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti, che si mette a nudo davanti a decine e decine di studenti universitari, raccolti nella Cripta della Cappella della Sapienza di Roma. Un luogo insolito per un incontro con un cantante di musica leggera, un posto aperto eccezionalmente per un momento che assomiglia tutto a un viaggio nella vita e nell’esperienza del cantante toscano.
Cherubini parla subito di sfide perché parlare di successo per lui è “una cosa scandalosa”: “E’ come per una ragazza bella parlare di bellezza – spiega – Sono 25 anni che faccio dischi e ho avuto sempre successo, più o meno grande. Ormai fa parte della mia vita”. Jovanotti racconta che il successo è come una droga, “è una cosa che ti fa andare forte”. “Non mi drogo e non mi sono mai drogato” afferma anche se riconosce d’avere sempre avuto attrazione per il successo: “A me interessa come sfida, come conquista da mettere alle spalle e da dimenticare. E da ritrovare ogni volta, giorno dopo giorno”.
L’autore di “Bella” e di “E’ per te” descrive che cosa rappresenta nella sua storia il successo e che significato ha avuto nella sua vita, “una parola bastardissima” si lascia scappare con un sorriso. “Io sono il terzo di quattro figli – dice al suo giovane pubblico – mi è sempre piaciuto vivere il mondo come una scena di uno spettacolo, è sempre stata una cosa che ho sentito subito forte. Fin da piccolo ho dovuto imparare a conquistarmi le cose, dal cibo, agli spazi, alle simpatie. E ho sviluppato tecniche psicologiche-mentali che mi sono poi servite nel sociale, sul lavoro. Ho dovuto conquistarmi anche le attenzioni dei genitori. Ma non lo vivevo come un peso, era la meravigliosa realtà. Ero un piccolo cercatore di successo – prosegue Jovanotti – un po’ come un piccolo cercatore d’oro. Per me il successo era una benedizione, era far sorridere la mia mamma. Per me era energia”.
La Cripta della Cappella universitaria è stracolma. Gli studenti seguono con attenzione i discorsi del cantante, “interrogato” dal padre gesuita Antonio Spadaro. I temi che vengono trattati sono tanti, sono profondi, entrano dentro e scavano a fondo. Jovanotti ci mette il suo pizzico di ironia, qualche battuta qua e là, senza tuttavia deludere mai i suoi ascoltatori. L’insuccesso? “Non lo so definire, ma so cos’è – risponde Lorenzo – perché l’insuccesso è la stessa cosa del successo, sono due fratelli, e spesso la percezione della fama è qualcosa di relativo, perché a volte si percepisce un successo che poi non lo è, oppure si pensa a un insuccesso che poi si trasforma nel suo contrario”. Ma dietro ogni gloria c’è la creatività, “un totem contemporaneo” come lo definisce il cantante toscano anche se, in realtà, “non esiste perché tutto è già stato creato”. L’importanza del legame con Dio è infatti un tema che ricorre spesso nei suoi pensieri e nelle parole che accompagnano la sua musica: “E’ proprio Lui che crea e ha creato già tutto. Esiste invece l’invenzione, che è la potenza dell’individuo. Amo chi conosce le cose e il trasferimento della conoscenza vale più della conoscenza in sé”.
Jovanotti va oltre e parla di successo come “gioia” nel fare le cose, e soprattutto nel donarle, e ricevere quei sorrisi, quei “regali” dagli altri, che per lui sono uno scopo, la forza per andare avanti giorno dopo giorno, per non essere “incatenato” a un successo fine a se stesso. “Non ci sono cose più o meno riuscite. C’è la vita di ogni giorno – afferma il cantante – lo sforzo continuo di rinnovarsi ogni giorno e in questo tentativo non c’è sconfitta perché il tentativo vale per sé, il lavoro vale per sé: il risultato è un dettaglio”. Per lui la gioia è infatti come un credo, è una forza dal “potere salvifico”, la sua ragione di continuare: “Oso pensare – continua – che l’Aldilà non sia altro che questo: un comico che ti fa ridere, un artista che ti fa emozionare, una risposta dell’altro. Tutto questo ti fa provare cos’è l’Aldilà. Ho questo sospetto: che l’eternità sia gioia, estasi, fusione degli elementi”. Per Lorenzo, però, non c’è felicità se la gioia non si può condividere con qualcuno: “Il successo è vedere una risposta negli occhi degli altri. Vedere le loro reazioni… in quel momento ritorno bambino, a quando avevo 6 anni, e ho come la sensazione di tornare a casa e far sorridere la mia mamma”.
E poi, il consiglio finale, che sembra racchiudere a pennello il senso dell’intero incontro e arriva dritto al cuore del discorso: “Il successo è il lavoro, giorno dopo giorno senza mai arrendersi, ma soprattutto è riuscire a lavorare con gioia, come fanno i bambini quando giocano”. Con la loro innocenza.