Kinshasa non tratta con i ribelli e l’ONU rafforza il suo contingente
26 Novembre 2008
La comunità internazionale si gioca le sue ultime carte e schiera l’ennesimo capo di stato in pensione, quell’Olusegun Obasanjo che, nei suoi otto anni di presidenza, è riuscito nell’impresa di “democratizzare” a modo suo
Circa una settimana fa Obasanjo ha incontrato il presidente congolese Kabila, poi si è recato nel Nord Kivu per parlare con il leader dei ribelli del Congresso Nazionale del Popolo Nkunda, e da ultimo ha parlato con il presidente ruandese Kagame, cercando di strappare a tutti una proposta di cessate il fuoco, oltre a quella di un comitato multipartitico per trattare la pace.
Le richieste del generale Nkunda sono identiche a quelle lasciate in sospeso colpevolmente nei precedenti accordi di Goma del 23 gennaio scorso: integrazione dei ribelli nell’esercito regolare, garanzie di amnistia per la sua persona (su cui pende un mandato di cattura del Tribunale Penale Internazionale per crimini contro l’umanità), uno statuto autonomo per il Kivu sia sul piano amministrativo che su quello economico, con la necessità di rinegoziare i contratti con le aziende, perlopiù cinesi, che sono attive nella zona nell’estrazione di coltan, oro, uranio e rame, oltre al solito investimento sul petrolio, rintracciato nelle vicinanze del Lago Edward, in prossimità del confine ugandese.
Dall’altro lato Kabila dovrebbe ammorbidire la sua posizione nei confronti di Nkunda rispetto a qualche settimana fa, quando affermò che il generale Tutsi non aveva alcun titolo per trattare e che in realtà i veri attori di questo conflitto erano Ruanda ed Uganda, le cui truppe sconfinano nel territorio con pretesti tutt’altro che attendibili. Il Ruanda afferma di voler definitivamente catturare o eliminare la minaccia delle Forze Democratiche del Ruanda, ribelli fuoriusciti di etnia hutu Interhamwe, considerati responsabili del genocidio dei Tutsi nel paese nel 1994; l’Uganda mirerebbe invece a respingere altri ribelli, quelli dell’Esercito di Liberazione del Signore, guidati da Joseph Kony ed attivi con i loro attacchi ed il loro fanatismo nell’Ituri, regione a settentrione del Nord Kivu.
In questo balletto di criminali ricercati per delitti contro l’umanità, oltre alla fuga di 1,5 milioni di sfollati ora si aggiunge anche il grave pericolo del colera che si sta diffondendo a macchia d’olio, soprattutto nelle città più a nord, isolate e sottoposte a continui scontri ed in alcuni casi, alle azioni di terrore del CNDP (come è accaduto a Kiwanja, dove è in corso un’indagine dell’Onu per stupri ed arbitrarie violenze su civili). Ban Ki-moon ha auspicato che l’invio di altri caschi blu riesca ad ovviare alle difficoltà della popolazione ed all’assalto di numerosi campi profughi anche in questi giorni di tregua.
Il “cessate il fuoco” tanto sperato è arrivato, nonostante le parentesi di guerriglia che ancora perseguono vicino alle città di Kanyabayonga, Rwindi difese dalle milizie “partigiane” locali
“Nel frattempo continuano a tagliare collegamenti, medicine e risorse alimentari verso il Sud Kivu, dove i prezzi sono diventati impossibili e dove comunque solo chi ha mezzi riesce a giungere dal Nord-Kivu”, racconta Padre Giovanni, da dieci anni a Bukavu. “La verità è che Nkunda, un sedicente liberatore è sostenuto da molti amici, a partire dal Ruanda e dalle multinazionali che operano al confine, che riescono ad esportare a costi piccolissimi, sfruttando le zone impervie e lacustri, ingenti quantità di coltan, utilizzato per computer, cellulari, oltre a diamanti, oro, cassiterite e molte grandi potenze sono dalla loro parte… A meno che la strategia americana ora non cambi…”, aggiunge il Padre Saveriano, che continua a proteggere e ad aiutare donne e bambini nella sua missione.
Bambini sempre più a loro agio con un fucile in mano, pronti a combattere e, i più grandi, incantati dal “coraggio” dei ribelli di Nkunda o dei