Kirghizstan, analisi della rivolta e degli sviluppi politici interni

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Kirghizstan, analisi della rivolta e degli sviluppi politici interni

10 Aprile 2010

A cinque anni esatti di distanza da quella che in Occidente era stata denominata “la rivoluzione dei tulipani”, declinazione centroasiatica delle cosiddette “rivoluzioni colorate” ucraina e georgiana, il Kirghizstan torna prepotentemente a far parlare di sé. Disordini, violente manifestazioni di piazza, occupazione delle sedi istituzionali, fuga del presidente in carica e ascesa del leader suo oppositore: la sintesi degli eventi che dal 7 aprile insanguinano la piazza di Bishkek (seguiti a quelli di Talas del giorno precedente) somiglia fin troppo a quanto già avvenuto e nuovamente, oggi come allora, gli osservatori occidentali tornano a parlare di “rivoluzione” ed attendono gli sviluppi di una situazione ancora estremamente fluida.

Date le circostanze la cautela è d’obbligo. Le notizie che giungono dalla remota repubblica centroasiatica delineano un quadro di violenza e caos generalizzato che ha causato almeno 70 morti e alcune centinaia di feriti, ruberie, vandalismo e atti di sciacallaggio nel centro della capitale.

Analogamente a quanto già avvenuto nel 2005 non mancano le accuse di corruzione e nepotismo nei confronti del presidente, allora costretto a riparare all’estero ed oggi barricato nella sua città natale, Jalal-Abad, nel sud del Kirghizstan, per nulla intenzionato a lasciare il paese. La differenza è che allora a fuggire era Askar Akaiev e la speranza kirghiza si chiamava Kurmanbek Bakiev, l’attuale presidente fuggiasco. Una beffa del destino?

Bakiev, ex premier e oppositore del regime di Akayev, che nel 2005 aveva contribuito a destituire, scelse opportunamente di concorrere alle presidenziali affiancato da Felix Kulov, abbinando così la propria sorte elettorale a quella di colui che in caso di vittoria sarebbe diventato presidente del consiglio. Una simile catalizzazione di consensi determinò l’isolamento di Roza Otunbaeva, l’altra figura chiave del movimento del 2005 che aspirava alla presidenza. Ex ministro degli esteri e ambasciatore presso gli Stati Uniti, la Otunbaeva ha continuato nell’ombra a giocare la propria partita, trovandosi ad essere oggi premier ad interim.

Nel corso degli ultimi cinque anni ha continuato la propria attività politica gestendo, per quanto possibile in un contesto sociale statico e tradizionale, il crescente malumore verso le aspettative di un migliore clima politico tradite da Bakiev, verso il crescente dilagare del clan presidenziale nei posti chiave dell’economia (secondo il copione già recitato dal suo predecessore), verso le sparizioni di giornalisti scomodi e oppositori politici e da ultimo verso un disagio sociale crescente, dovuto soprattutto alla concreta impossibilità di fronteggiare l’aumento del costo del carburante e dell’energia elettrica. A fine marzo alcuni analisti, nel quinto anniversario della “rivoluzione dei tulipani”, consideravano che tanta visibilità nell’opporsi al regime avrebbe potuto costarle molto caro. E tuttavia, già in precedenza, il 17 marzo a Bishkek, la  Otunbaeva si era messa alla testa di un corteo di 3000 persone che chiedevano le dimissioni di Bakiev.

L’enorme interesse mostrato dai media occidentali nei riguardi di una crisi pur grave, ma interna a un paese tanto lontano è motivata dalla rilevanza strategica che esso riveste per le attività della coalizione attiva in Afghanistan. Il Kirghizstan, infatti, ospita una base concessa in locazione agli americani per il transito dei rifornimenti non militari (Manas, non lontano dalla capitale Bishkek) ed anche un centro addestrativo antiterrorismo. Una delle prime rassicurazioni della Otunbaeva ha proprio riguardato il rispetto degli impegni assunti nei confronti degli USA, almeno fino alla scadenza del contratto in vigore prevista per luglio prossimo, i cui termini andrebbero poi rinegoziati. I primi segnali al momento dello scoppio dei tumulti erano invece stati decisamente poco confortanti, data la sospensione delle attività della base di Manas nella giornata di mercoledì 7 aprile, poi durata, in realtà, solo 12 ore.

Se il rapporto con gli americani non sembrerebbe cambiare, rassicurazioni e manifestazioni di compartecipazione per il dramma kirghizo giungono da parte del presidente Medvedev. Data la situazione interna al paese, la posizione della Russia potrebbe risultare piuttosto difficile, dal momento che avrebbe dovuto liquidare a breve un prestito di 300 milioni di dollari, destinato al miglioramento delle infrastrutture energetiche. Si tratta di un’ulteriore iniziativa tesa a rinsaldare un rapporto bilaterale che sembrava messo a rischio dalla presenza americana, al quale si associa l’apertura a Osh della seconda base gestita dai russi, benché formalmente sia della CSTO, oltre a quella che già occupano a Kant, nei pressi della capitale.

Su quanto sta accadendo e su quello che verrà gravano diversi interrogativi. Innanzitutto, suscita una profonda impressione come nel giro di 48 ore figure politiche certamente caratterizzate da qualche autorevolezza, ma dalle quali non ci si sarebbe aspettati la capacità di mettere insieme quella imponente massa organizzata di dimostranti, abbiano indotto alla fuga il presidente, ridotto in fin di vita il ministro degli interni, determinato lo scioglimento del parlamento e costituito un governo ad interim.

Inoltre, in un contesto sociale tradizionale e regolato dalla disciplina del clan di appartenenza locale, tale per cui nel 2005 più che di rivoluzione si poté parlare di un vero e proprio avvicendamento clanico, viene da chiedersi su quali basi si legittimerà la prossima leadership e in che modo intenderà consolidare il proprio potere. Va poi considerato anche che mentre al momento dello scoppio della “rivoluzione dei tulipani” il presidente Akayev riparò a Mosca, oggi Bakiev dichiara di non voler lasciare il paese, pur dimostrandosi disposto ad ascoltare le richieste del governo temporaneo.

La situazione appare quindi ancora piuttosto fluida e le informazioni che giungono risultano troppo frammentarie per consentire di anticipare i tempi. In ogni caso, qualunque leadership verrà ad insediarsi dovrà fare i conti con gli interessi economici già consolidati nel paese (saldamente nelle mani della famiglia Bakiev), con una gestione ancora tradizionale della cosa pubblica nonché con gli impegni assunti nei confronti della coalizione attiva in Afghanistan, la cui presenza sul territorio kirghizo giova anche ai fini della sicurezza interna, essendo finalizzata al contenimento dell’instabilità che dall’Afghanistan rischia costantemente di propagarsi nel resto della regione.