Kursaal, vicenda emblematica degli sperperi e dei pregiudizi della sinistra
22 Settembre 2012
Caro direttore,
dopo la diatriba delle scorse settimane torno sulla vicenda del teatro Kursaal Santa Lucia non per puntiglio, ma perché troppi interrogativi sono rimasti inevasi, e perché in fondo questa storia è emblematica di un modo di intendere la gestione dei soldi pubblici e del pregiudizio che una parte politica nutre per la libera iniziativa dei cittadini.
Nella polemica che mi ha visto contrapposto all’assessore Godelli e al presidente Introna – dopo la decisione della Regione Puglia di esercitare il diritto di prelazione acquisendo il teatro che già un’impresa privata si era aggiudicata e stanziando tre milioni e mezzo per l’operazione – sono state infatti utilizzate parole sulle quali vale la pena soffermarsi. Tanto per cominciare: di fronte alle mie obiezioni circa l’opportunità di impiegare ingenti risorse pubbliche per sottrarre un’attività culturale all’iniziativa privata, in tempi di grave crisi e a maggior ragione dopo l’infausta esperienza della gestione del Petruzzelli, gli autorevoli esponenti della Regione Puglia hanno risposto parlando di “salvataggio del Kursaal dalla speculazione”, di un acquisto motivato dalla “salvaguardia, valorizzazione” e “conferma della originaria funzione e unica vocazione del teatro”. Ora, in politica si possono prendere delle decisioni purché poi ci si assuma le conseguenti responsabilità senza accampare pretesti privi di fondamento. E’ bene chiarire che nessun pericolo incombeva sulla “funzione” e sulla “vocazione” del Kursaal: l’imprenditore si era aggiudicato all’asta il teatro con vincolo di destinazione d’uso, non avrebbe potuto farci nient’altro che le attività alle quali esso è destinato, e dunque la Regione non ha salvato proprio un bel niente per il semplice fatto che non c’era niente da salvare. A meno che per la sinistra pugliese “salvare” una realtà significhi semplicemente sottrarla alla libera iniziativa privata, intesa evidentemente come sinonimo di speculazione.
E ancora. E’ stato detto: “Il Kursaal non è stato acquistato con i soldi dei cittadini ma con i fondi per gli investimenti”. Come se i fondi per investimenti non fossero stanziati da entità istituzionali (e dunque dalle casse pubbliche) ma piovessero dal cielo e prodigiosamente si materializzassero nelle casse della Regione Puglia. Non solo: nell’attribuzione dei fondi ex Fas, dai quali deriva lo stanziamento per l’acquisto del Kursaal, la Puglia ha subito una pesante decurtazione passando da 332,03 milioni di euro a 174,03 milioni effettivamente disponibili. Si può immaginare che ciò avrà imposto un drastico ridimensionamento degli interventi che erano stati previsti, e che con una coperta tanto corta ad ogni investimento debba corrispondere la rinuncia ad altri. Ci piacerebbe dunque sapere: quali interventi non sono stati finanziati per carenza di fondi? Non si ritiene con l’operazione Kursaal di aver causato un doppio danno, distogliendo risorse da altri interventi e privando la città di Bari di un investimento privato che si era reso disponibile? Veramente in una Regione che grava sui propri cittadini con imposte e vessazioni superiori alla media nazionale si ritiene che gli enti locali dispongano dei mezzi per supportare due consorzi nella stessa città?
Infine: è stato detto che “la cultura è di tutti e per tutti”. Tranne evidentemente che dei cittadini che vorrebbero investirci sopra nel rispetto delle regole. La cultura, secondo la Regione Puglia, è “di tutti e per tutti” in quanto sottratta alla libera iniziativa, sottratta al principio di sussidiarietà e a una sana concorrenza tra pubblico e privato. Se tutto ciò è già di per sé rivelatore di un approccio illiberale, è ancor più paradossale che una simile concezione trovi spazio in una città nella quale si è già avuta la prova di come dietro alla cultura possano celarsi clientele e interessi politici.
L’operazione Kursaal e le parole con le quali è stata giustificata impongono al centrodestra di non abdicare al proprio ruolo e di non sottrarsi dal difendere la libera intrapresa delle persone e una cultura più ariosa che si nutra anche di pluralismo e di concorrenza. Questi principi sono parte della nostra “ragione sociale”. Rinunciare ad essi significa divenire un po’ meno riconoscibili.
Gaetano Quagliariello, vicecapogruppo vicario del PdL al Senato
(tratto dalla Gazzetta del Mezzogiorno)