L’ obbligo di registrarsi con carta d’identità è davvero il miglior modo per combattere gli haters sui social?
01 Novembre 2019
Negli ultimi giorni, sta facendo molto discutere la proposta di legge di Luigi Marattin, deputato del neo-partito Italia Viva, il quale vorrebbe imporre l’invio di un documento d’identità ad una piattaforma social, per chiunque voglia aprire un account sulla piattaforma stessa. La proposta in questione, prendendo spunto da un tweet del noto regista Gabriele Muccino, avrebbe lo scopo di “impedire che il web rimanga la fogna che è diventato”: il riferimento sarebbe alla diffusione di fake news, ai profili falsi e ad alcuni dei reati a mezzo social, come la diffamazione, gli insulti e le minacce.
Ora, il quesito che in molti si stanno ponendo a riguardo, verosimilmente, è il seguente: “Davvero una legge che punisce l’anonimato potrebbe essere la soluzione al problema?”. La questione è ben analizzata da Open. Difatti, prima valutare la validità della proposta di legge, bisognerebbe partire da un presupposto fondamentale: quello che viene definito sul web “anonimato” in realtà è uno “pseudoanonimato”, in quanto viene concessa sui social la possibilità di registrarsi con un nickname diverso dal nome: peraltro, lo stesso Marattin non è contrario a ciò “perché è giusto preservare quella scelta”. È bene ricordare, poi, che già adesso chiunque si registri su un social network è rintracciabile grazie al proprio IP, che può essere chiesto, solo in caso di reati, attraverso un’apposita rogatoria. È vero che l’IP può essere alterato, ma è altrettanto vero che il documento di identità può essere falsificato. Dunque, chi si occuperebbe di verificare la reale identità di coloro che si registrano? A riguardo, infatti, Stefano Zanero, esperto di sicurezza informatica e professore del Politecnico di Milano, in passato, aveva più volte spiegato le problematiche legate al voler associare un documento d’identità ai propri profili online, in particolare sostenendo che, pur volendo chiedere “i documenti” per registrarsi “col proprio nome”, risulta assai complicato verificare la autenticità di essi: come si diceva poc’anzi, mandare un documento contraffatto può essere un gioco da ragazzi.
Un’altra domanda che sarebbe opportuno porsi è: “Quali piattaforme sono classificabili come social network, in assenza di una definizione univoca di questa espressione?”. Facebook, Twitter ed Instagram sono sicuramente social network; ma anche Whatsapp e Telegram lo sono o si tratta semplicemente di strumenti di messaggistica istantanea? Per di più, come andrebbero valutate la Playstation – la cui chat integrata venne utilizzata anche dagli esponenti dell’ISIS per progettare attentati – e generiche comunità online come Linkedin?
Ancora, un altro problema non da poco sarebbe rappresentato dal fatto che la legge sarebbe applicabile solo in Italia e, dunque, solo le persone sul suolo Italiano sarebbero soggette a questa legge: come fatto notare da diversi esperti di settore e cosiddetti “white hat” – più comunemente conosciuti come “hacker-qualsiasi” – una VPN (ossia una rete privata, dall’acronimo inglese che significa “Virtual Private Network”) geo-localizzata fuori dal territorio nazionale oppure TOR (acronimo di The Onion Router), permetterebbero di eludere la norma. Quindi, che fare a questo proposito? Vietare l’utilizzo di VPN e TOR? Vietare l’utilizzo di reti private in generale? Come, giustamente, fatto notare con un tweet dall’hacker Pinperepette, grazie ai TOR, tante persone possono esprimere la propria opinione in paesi, nei quali la libertà di espressione non è garantita: difatti, si tratta di un sistema di comunicazione anonima per Internet, che rende molto più difficile tracciare l’attività online di un soggetto, essendo finalizzato a proteggere la privacy degli utenti, la loro libertà e la loro possibilità di condurre delle comunicazioni confidenziali, senza che vengano monitorate.
Infine, un’ulteriore problematica potrebbe poi essere legata al fatto che una proposta come quella di Marattin, potrebbe creare un precedente pericoloso ed illiberale, anche in grado di offrire uno spunto ai regimi dittatoriali.
In considerazione di queste osservazioni è possibile dedurre che, forse, la proposta di Marattin non è la soluzione giusta per contrastare i cosiddetti “odiatori seriali”. Infatti le società private avrebbero a loro disposizione ulteriori dati degli utenti e potrebbero farne ciò che preferiscono come, tra l’altro, già accaduto non troppo tempo addietro.
Dunque, bisognerebbe lavorare ad una semplificazione dell’attuale procedura per ottenere il rilascio dei contenuti di un account social, anche a livello internazionale, eventualmente, portando il tema anche all’attenzione dell’Unione Europea e del rispettivo Parlamento. Sarebbe opportuno, poi, pensare all’introduzione nelle scuole di ore di lezione relative all’uso dell’informatica, non solo per educare i ragazzi ad un corretto uso di internet e dei social network, ma anche per evitare casi – purtroppo sempre più frequenti – di cyberbullismo, una forma di bullismo online, che, spesso, porta chi ne è vittima a decisioni estreme e tragiche.