La beffa di Dante e di un paese sempre meno “intelligente”
07 Marzo 2010
In un paese normale, se un professore universitario proponesse una legge che imponga ai maschi di portare un anello celeste al naso e alle femmine un anello rosa, la reazione della società civile sarebbe scontata. I destinatari dell’appello telefonerebbero al parente più prossimo del professore consigliando un immediato ricovero ospedaliero del congiunto e, nel frattempo, qualche tranquillante. In Italia è difficile che si verifichi una reazione del genere. Una parte degli interpellati si renderà disponibile a fondare un’associazione che "porti avanti" il progetto di legge, sensibilizzando, a tale scopo, i politici amici. Un altro gruppo risponderà in toni accesi e minatori, preannunciando la costituzione di comitati di difesa dei diritti e delle libertà di ciascuno di non portare l’anello al naso. Una minoranza protesterà per il fatto che non s’è parlato di gay, una categoria che si rifiuta di portare al naso gli anelli con i colori degli altri due "gender". Le risposte più numerose, però, proverranno da connazionali che avendo respirato a pieni polmoni l’aria delle scuole italiane, daranno fondo a tutto il loro buonismo, a tutto il loro bagaglio di valori alti iscritti nelle" carte dei diritti universali" e consegnati alla nostra Costituzione democratica e antifascista. Imporre l’anello al naso, obietteranno, è fortemente lesivo della dignità della persona, è in contrasto con la "Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino" del 1789– Artt. 1,2 e 4- ; è in contrasto con la "Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo" del l848-Artt. 3 e 4; è in contrasto con la nostra Costituzione-Artt. 2 e 3.
Ne ho avuto una significativa riprova. Dando libero sfogo al mio quarto di sangue partenopeo, mi sono inventato la richiesta al Ministro Gelmini – in nome di una fantomatica Associazione per il rispetto di tutte le religioni e la convivenza pacifica delle etnie culturali, ARRE – di depennare dai programmi scolastici di ogni ordine e grado lo studio della Divina Commedia. ‘L’Occidentale’ si è prestato allo scherzo e ha pubblicato qualche settimana fa l’accorata petizione. Il poeta, scrivevo nella lettera, citando i suoi versi, era un antisemita, un persecutore di omosessuali, un antiislamico, un rabbioso anticlericale (non ricordavo, mi si fece notare, il suo antifemminismo testimoniato dal Canto VIII del ‘Purgatorio’: "quanto in femmina foco d’amor dura, se l’occhio o ‘l tatto spesso non l’accende”).
Era anche un anti-illuminista e un anti-industrialista, riconoscevo lealmente, ma di ciò non lo si poteva incolpare per il rispetto che si deve a tutte le opinioni. Alcuni lettori, per la verità, hanno replicato alla proposta con divertita ironia, facendo notare, ad esempio, che Torquato Tasso è ancora più politically uncorrect di Dante, dal momento che esalta il colonialismo dei Crociati e un altro spiritoso collega di Bari si è dichiarato pronto a sottoscrivere la petizione solo se, accanto alla nequizia di fiorentini, pisani e bolognesi veniva citata quella dei genovesi (Canto XXIII dell’Inferno’: "Ahi Genovesi, uomini diversi/d’ogne costume e pien d’ogne magagna,/perché non siete voi del mondo spersi?")
Una discreta minoranza – v. gli improperi piovuti sul mio capo da parte dei navigatori dell’’Occidentale’ – ha reagito rabbiosamente contro l’ARRE, contro gli extracomunitari che vorrebbero imporci i loro valori, contro gli intellettuali che hanno perduto ogni senso di dignità e di amor patrio. ’Florentia’, ad esempio, ha inviato un messaggio vibrante d’indignazione: “Le cosiddette buone ragioni di questo "signore", fanno semplicemente rizzare i capelli in testa! Adesso dà fastidio anche Dante?!!!! Benissimo, ognuno ha le sue opinioni…ma a casa propria!!!! Se siamo così incompatibili, prego…tornatevene da dove siete venuti o abbiate un sacrosanto rispetto per il popolo che vi ospita e che tollera anche troppo la vostra arroganza!Dante non si TOCCA!!!!.. perchè non chiedete agli inglesi di bandire Shakespeare, solo perchè ritenete le sue opere offensive e razziste? Siete fortunati a vivere in Italia, ma non esagerate….”
La maggior parte dei lettori, però, ha replicato «in maniera civilissima», facendomi rilevare che non possiamo rinunciare ai simboli della nostra cultura e alle nostre radici anche se dobbiamo poi trovare i modi di non offendere i "diversi". Una gentile signora mi ha inviato a non essere troppo severo con Dante: "Io sono pisana – mi ha scritto – e delle parole di Dante anche se feroci non mi sono mai offesa " personalmente": probabilmente aveva le sue ragioni , ed era uno che le sapeva ben difendere. "Dante è Dante" si diceva per dire che era un genio come "Natalino docet" riferendosi al Sapegno, quando si discuteva di Dante”. Qualcuno ha confessato un profondo imbarazzo: "Ho riletto qualche pagina del De Sanctis e del Croce per avere una ispirazione ed accettare la proposta. Purtroppo ho verificato la mia inadeguatezza. Ho scoperto di avere pregiudizi nei miei confronti. Dante è un poeta del suo tempo: l’idea di tolleranza mi sembra molto più moderna. Inoltre mi chiedo: che qualità possiedo per chiedere al ministro la messa al bando nelle scuole la "Commedia" di Dante? Conseguentemente non ritengo di avere la preparazione culturale per potermi annoverare tra i "dantisti" o tra gli "antidantisti". Qualcun altro ha cercato di ‘venirmi incontro’ ma proprio non ce l’ha fatta: ”Che il divin poeta abbia i suoi limiti ed errori è umano; sarebbe stolto pensare diversamente. Tutti i "grandi", poeti o meno, ne hanno. Bisognerebbe radiarli tutti dalla scuola e mettere voi, presuntuose associazioni di uomini perfetti.”(con riferimento, è ovvio, all’ARRE!). Uno dei miei amici più cari mi ha inviato una pagina dolente, in cui rilevava, tra l’altro, che: ”che ci piaccia o no, l’opera di Dante è assurta a simbolo dell’italianità. È vero che molti simboli non sono del tutto "azzeccati", per dirla nel gergo dipietrese, però è la loro funzione che conta. Altrimenti dobbiamo espungere dai testi scolastici le pagine relative a personaggi come i fratelli Bandiera o Pietro Micca o Garibaldi, perché ci richiamano alla rivolta armata come strumento legittimo per qualsiasi rivendicazione e potrebbero giustificare anche l’operato delle brigate rosse”.
A dire la verità, le reazioni civili mi hanno rattristato più delle altre perché, più delle altre, mi hanno fatto toccare con mano quanto avesse ragione Giorgio Israel, che non avendo dubitato neppure per un attimo che si trattasse di uno scherzo, mi aveva avvertito: ”guarda che ti prenderanno sul serio. Forse ancora non ti sei reso pienamente conto del mondo in cui viviamo…”. E, in effetti, quel che dà più da pensare è il fatto che persone colte ed equilibrate si siano ormai abituate ad aspettarsi di tutto, anche che qualcuno voglia "oscurare" Dante e la sua poesia.” Ho pensato a uno scherzo – mi ha scritto Sergio Belardinelli – solo perché veniva da te, ma se ne sentono anche di peggio. E purtroppo vanno a finire nei programmi scolastici!!!”. Sennonché ad alimentare lo sconforto ancor più degli stessi tentativi di convincermi che “non sta bene” (!!) disfarsi d’emblée di Dante e della Commedia è la disponibilità a un compromesso ‘ragionevole’. Un prestigioso cattedratico, dopo avermi espresso la sua costernazione, e dopo avermi fatto notare che “senza Dante l’intera letteratura italiana anche moderna, da Foscolo a Gozzano, da Leopardi a D’Annunzio e Montale, smarrirebbe troppo della propria identità e intelligibilità. La globalizzazione fa si che ogni grande popolo possa presentare al mondo da due a tre genii universali: per l’Inghilterra saranno forse Shakespeare, Newton e Darwin, per la Francia Descartes e Molière, per la Germania Goethe e Einstein, per l’India Gandhi, per l’Italia certamente Dante e Leonardo, forse Michelangelo e Galileo. Ormai Dante – tradotto in tutte le lingue, comprese le estremo-orientali – appartiene non più solo all’Italia ma a tutta l’umanità, e la sua espunzione da parte dei così piccoli italiani contemporanei renderebbe ridicola l’Italia agli occhi di tutto il mondo”.(osservazioni, sia detto per inciso, che stanno sullo stesso piano della frase “se piove a dirotto è consigliabile aprire l’ombrello!”), in chiusura di lettera, mi ha dato un contentino. “Naturalmente si può suggerire ai docenti, sempre nel rispetto del loro diritto inviolabile alla libertà di espressione e di insegnamento, una selezione critica dei passi migliori anche dal punto di vista del politicamente corretto quale è venuto configurandosi alla luce della moderna religione civile dei diritti dell’uomo”.
In sostanza, leggiamo pure il Canto di Ugolino ma sbianchettiamo quell’”Ahi Pisa vituperio delle genti” o i passi su Maometto, seminatore di discordie, che potrebbero offendere la sensibilità di pisani e di musulmani e mandare in bestia un pisano che sia anche musulmano. Si avrebbe, però, come risultato che nelle scuole circolerebbe un Dante epurato e corretto, ma nelle toilette, negli angoli bui dei corridoi, i nuovi Franti venderebbero, di nascosto, il Dante proibito, assieme ai dvd porno e all’erba. Leggere il Canto XXI dell’Inferno’—dove si contengono i versi “ Per l’argine sinistro volta dienno; ma prima avea ciascun la lingua stretta/ coi denti, verso lor duca, per cenno;/ed elli avea del cul fatto trombetta”–potrebbe diventare una delle trasgressioni più ‘gettonate’, a chiusura del ciclo che dal multiculturalismo, attraverso la tolleranza, porta al masochistico sprofondamento nel ridicolo.
Alcuni amici napoletani (peraltro stimatissimi colleghi) hanno detto che “tengo la capa fresca” e che non riesco a reprimere il mio inguaribile “totoismo” (con riferimento, soprattutto, a ‘Totòtruffa 61’). Concordo in pieno ma lo scherzo, questa volta, ha avuto un risvolto tanto utile quanto, in un certo senso, tragico e preoccupante. La beffa ha rivelato, in maniera impietosa, lo spappolamento dell’intelligenza e dell’etica sociale del paese, nonché della rinuncia della ragione a ogni autocensura: tutto può venir messo in discussione, su tutto si può argomentare pro o contro, l’essenziale è comunicare, scambiare idee, ascoltare quanto hanno da dire gli altri. Quella ‘filosofia del dialogo’, che tanto ci aveva affascinato nelle pagine limpide e socratiche, di Guido Calogero, sembra un vino che, per colpa del pessimo stato di conservazione, sta ormai degenerando in aceto. Il senso del dialogo era la scoperta, attraverso la discussione, di una verità, alla fine riconosciuta da tutti gli interlocutori, costretti a piegarsi al ferreo incalzare della ragione, o l’accordo su un principio morale, da tutti riconosciuto come superiore.
Oggi il dialogo è diventato la registrazione di quel che pensano le diverse culture e la ricerca dei modi e degli istituti per imporne, possibilmente per legge, il rispetto. Nell’accezione classica, si entra nel dialogo con certe idee ed abiti mentali e se ne esce con convinzioni e con codici (almeno in parte) mutati: nell’accezione odierna, buonista e multiculturalista, si entra nel dialogo per rivendicare il diritto ad essere e a rimanere quel che si è e quindi con un’identità rafforzata dal ‘riconoscimento’ degli altri. Se tale esito riguardasse entrambe le parti a confronto, il dialogo somiglierebbe piuttosto all’incontro tra due commissioni armistiziali per trattare la sospensione delle ostilità. Per fortuna (o purtroppo, a seconda di gusti) da noi non è così, giacché una delle parti (la nostra) intende la tolleranza e il dialogo come uno scambio a somma zero: se le nostre azioni e i nostri costumi morali e intellettuali offendono gli ‘altri’ facciamo un passo indietro, restringiamo il nostro spazio bianco per far posto allo spazio nero degli altri. Non era questa la saggezza dialogica dell’Occidente, per il quale l’obiettivo non era una più equa distribuzione di spazi bianchi e neri ma la costituzione di uno spazio verde occupabile da tutti, in quanto portatore di valori (è ancora lecito adoperare la brutta parola?) “universali”.
Vero è che all’interno della nostra tribù occidentale, c’è anche un’altra accezione di dialogo, che si potrebbe definire ”l’uso nichilistico del dialogo”. Tempo fa un leader politico "libertario" giudicò la demonizzazione della pedofilia lesiva dei diritti sacrosanti dei cittadini. Già, perché, dovrebbe essere riprovevole “per tutti”, in linea di principio, avere rapporti sessuali con bambini e bambine? C’è chi li disapprova, in nome di un’etica arcaica, c’è chi li ritiene normali, non avendo pregiudizi di alcun tipo: incontriamoci, parliamone, esaminiamo le argomentazioni degli uni e degli altri.
Nel caso di Dante, la versione buonista del dialogo potrebbe portare a un compromesso soddisfacente , al “passo indietro” consistente nel cancellare dalla ‘Divina Commedia’ tutti i passi politicamente scorretti -oltretutto, un’opportuna riduzione di un poema francamente troppo prolisso; la versione ‘nichilistica’ potrebbe portare, invece, alla condanna di ogni ‘censura’ del testo dantesco e, insieme, al riconoscimento della più assoluta libertà, da parte degli alunni, di scelta, nei programmi scolastici, tra il capolavoro di Dante e i romanzi del Marchese de Sade o di Henry Miller. Nel primo caso, il ‘dialogo’ ci taglia un braccio, nel secondo ci fa perdere l’anima ovvero fa della nostra anima un contenitore dove, di volta in volta, si possa mettere di tutto. La crisi di una civiltà è testimoniata dal fatto che anche le parole più belle – come ‘libertà’, ‘dialogo’, rispetto dell’altro etc..— finiscono “a schifìo”.