La benedizione e la maledizione del gas israeliano
28 Luglio 2011
Numerose compagnie energetiche israeliane, seguendo gli indizi presenti nella Bibbia, si sono messe da decenni alla ricerca di petrolio nella Terra Promessa. Sono più di 400 i pozzi perforati in Israele, per un’area pari a una regione italiana di medie dimensioni. “Abbiamo letteralmente scavato in tutto il nostro paese”, afferma in tono caustico Yossi Langotsky, uno dei principali geologi israeliani. Fino a due anni fa, queste grandi esplorazioni avevano portato solo a risultati angoscianti. A eccezione di un piccolo giacimento petrolifero scoperto nel 1995 nei pressi della città meridionale di Ashkelon, il suolo israeliano appariva incredibilmente arido.
Seduto su un divano all’ultimo piano di una lussuosa torre di Herzelya, vicino a Tel Aviv, Langotsky ricorre a un’espressione cristiana per definire il percorso lungo e doloroso che ha dovuto compiere: “Via Dolorosa”. Molti dei geologi coinvolti nell’esplorazione hanno abbandonato la professione a causa della mancanza di risultati. L’opinione pubblica ha iniziato a deridere coloro che si ostinavano a non arrendersi. “I miei amici erano soliti disegnare una linea obliqua nell’aria ogni volta che li incontravo– dice Langotsky – , un gesto che significava che avrei dovuto trivellare in direzione dell’Arabia Saudita. Ed ero costretto a ridere…”.
C’è di più, un gruppo di eccentrici religiosi ha trasformato la Bibbia in un inverosimile libro di geologia. Tra questi, Richard Rinberg, fervente ebreo ortodosso e amministratore delegato della compagnia energetica texana “Zion Oil and Gas”, ha compiuto perforazioni per circa un decennio nel nord di Israele, in un’area in cui si dice che abbia vissuto la tribù Asher – una delle dodici antiche tribù israeliane. A Rinberg la dritta è arrivata dall’affermazione biblica “il piede di Asher è immerso nel petrolio”. “Preferisco non rendere pubblico cosa penso al riguardo”, commenta Langotsky. Tuttavia, anche questo laico professionista non esclude che possano essere trovati riferimenti alla possibile presenza di petrolio nella Terra Promessa all’interno delle Sacre Scritture. “Nella Genesi c’è una frase che descrive l’asfalto, per il quale è necessario il petrolio. È una questione di grande importanza. Il resto non ha senso”.
La fede è radicata profondamente in questa parte del mondo, soprattutto quando è supportata da prove scientifiche. Langotsky ha fornito una spinta decisiva per la scoperta di Tamar – sito che prende il nome da sua nipote –un giacimento di gas naturale di 250 miliardi di metri cubi a 90 chilometri dal porto di Haifa. Un secondo giacimento, chiamato Leviatano, è stato scoperto all’inizio di quest’anno. Le dimensioni di Leviatano, il doppio di quelle di Tamar, lo rendono il giacimento di gas più grande scoperto negli ultimi 10 anni. Inoltre, da un recente rilevamento geologico statunitense, è emerso che nel Mediterraneo orientale, e in particolare a largo delle coste israeliane, le probabilità di nuove scoperte di entità maggiore sono molto elevate.
L’ex Primo Ministro Golda Meir era solita ripetere che “Mosè ci ha trascinato per 40 anni attraverso il deserto per portarci nell’unico luogo del Medio Oriente senza petrolio”. Le sue osservazioni sono state appena smentite. La scoperta di una quantità così notevole di gas naturale ha delle implicazioni notevoli per l’economia e la società israeliane. I funzionari israeliani hanno già definito tali scoperte l’evento economico più importante dalla fondazione dello Stato, avvenuta 63 anni fa. Tutto questo potrebbe potenzialmente cambiare le regole del gioco non solo per Israele, ma anche per l’intera regione.
Ma questa potenziale “manna” potrebbe rivelarsi una maledizione più che una benedizione. I principali economisti mettono in guardia contro il rischio che potrebbero produrre i miliardi di dollari provenienti dai ricavi del petrolio. Ciò potrebbe rafforzare la valuta israeliana al punto da danneggiare l’esportazione di hi-tech, fonte di orgoglio per Israele. Ed esiste un motivo di preoccupazione anche più grande: la scoperta del gas ha spinto il Libano, guidato da Hezbollah, ha rivendicare che i giacimenti israeliani potrebbero trovarsi all’interno dei propri confini, un’affermazione che, nell’instabile Medio Oriente, può facilmente degenerare in un conflitto.
Il cambiamento delle regole del gioco. I giacimenti di Tamar e Leviatano sono stati scoperti da un consorzio guidato dalla compagnia israeliana Delek e da quella texana Noble Energy, una delle principali compagnie di esplorazione di giacimenti di petrolio in acque profonde. Poco dopo la scoperta di Tamar, Yitzhak Tshuva, proprietario del gruppo Delek – probabilmente l’uomo più ricco di Israele – trovandosi sul palco nel corso di una conferenza, ha indossato la Kippah – il copricapo religioso ebreo –, ha ringraziato Dio e ha annunciato: “Lo Stato di Israele ha raggiunto l’indipendenza energetica”.
Seduto nel suo piccolo ufficio alla Knesset, Uzi Landau, il Ministro israeliano delle Infrastrutture Nazionali, sembra contento. “A Tamar si trova gas sufficiente per il fabbisogno israeliano dei prossimi 25 anni. Nel sito di Leviatano ce n’è il doppio”, dichiara. Il governo israeliano sta adesso analizzando tutte le implicazioni della nuova realtà, al fine di elaborare un’adeguata strategia energetica. È stato già deciso che, mentre il gas di Tamar – che verrà collegato al gasdotto israeliano entro la fine del 2012 (un progetto di circa 3.5 miliardi di dollari) – sarà usato per soddisfare la domanda energetica israeliana, quello di Leviatano, invece, sarà esportato. L’economia israeliana sarà quindi ridisegnata.
Innanzitutto, si tratta della fine di un incubo energetico. Lo Stato israeliano ha lottato nel corso di tutta la sua storia nel tentativo di trovare un fornitore di energia affidabile. Circondato dalla maggior parte dei produttori islamici di petrolio a esso ostili, lo Stato di Israele ha sempre risentito, riguardo alla sua politica energetica, dei drammatici cambiamenti politici della regione. Il paese ha fatto affidamento al petrolio iraniano fino al 1979, quando la Rivoluzione Islamica mise fine all’accordo. Contemporaneamente Israele decise di rinunciare a tutti i giacimenti di petrolio scoperti nei territori occupati del Sinai, come parte dell’accordo di pace con l’Egitto.
Nel frattempo, per soddisfare il fabbisogno energetico nazionale, Israele fu costretto ad avviare accordi segreti. L’ex Ministro per le Infrastrutture Nazionali, Joseph Paritzky, nel 2004 ha sottolineato come Israele non intrattenga più relazioni diplomatiche con la maggior parte dei produttori di petrolio. Persino il contratto da due miliardi di dollari con l’Egitto, siglato nel 2008 allo scopo di garantire a Israele il 40% del fabbisogno di gas, è diventato inaffidabile. A partire dalla caduta del presidente Mubarak a inizio anno, sono stati portati a buon fine quattro attacchi ai gasdotti del Sinai che portano il gas in Israele e Giordania, provocando prolungate interruzioni. Si presume che dietro questi atti di sabotaggio ci siano le tribù beduine locali e i gruppi islamisti che si ispirano ad Al Qaeda. Nessun dubbio, pertanto, sul fatto che la scoperta del gas in Israele è arrivata al momento giusto.
La prospettiva dell’indipendenza energetica riduce radicalmente l’impatto del taglio apportato al gas egiziano, che nel breve periodo è piuttosto alto. “Invece del gas naturale egiziano, dobbiamo produrre energia elettrica utilizzando altre fonti, in primo luogo carbone e petrolio grezzo, che non solo costano di più, ma danneggiano anche l’ambiente”, afferma Landau.
Adesso il futuro sembra migliore. Nel momento in cui il gas di Tamar sarà utilizzabile, si spera all’inizio del 2013, Israele potrà beneficiare degli effetti positivi dell’indipendenza energetica. “Useremo il gas di Tamar per il nostro fabbisogno energetico, primo fra tutti la produzione di energia elettrica – dichiara Landau –. Abbiamo in programma di collegare l’intero paese, compresi i consumatori privati nazionali, alla rete del nostro gas naturale. Inoltre, stiamo analizzando in che modo impiegare il gas per i servizi di trasporto, pubblico e privato”.
L’obiettivo più ambizioso è stimolare i nuovi settori industriali. Uno dei progetti consiste nella creazione di un’industria locale di metanolo. Quest’ultimo, utilizzato come materia prima nell’industria chimica, si prospetta come un possibile sostituto del petrolio. “Oltre a sostituire il più possibile la benzina” – riassume Landau – vorremmo sviluppare un’industria chimica basata sul gas naturale, come quella dei fertilizzanti e della plastica”.
Israele non è solo indipendente energicamente. Il paese possiede abbastanza gas – nel giacimento di Leviatano così come in altri che potrebbero essere scoperti – da poter essere esportato. Oltre ai più vicini mercati, l’Autorità Palestinese e la Giordania, Israele sta pensando di vendere il suo gas in Europa, passando per la Grecia, ai Paesi balcanici e forse anche in Estremo Oriente. (Fine della prima puntata, continua…)
Traduzione di Valeria Risuglia e Stefano Fiori
(Tratto da Longitude)