La borghesia di Pasolini era quella del ’68

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

La borghesia di Pasolini era quella del ’68

18 Novembre 2007

Pasolini è un arcitaliano. Un italiano pieno di deformazioni
ideologiche e lucido fino all’inverosimile. Si è scritto, di Pasolini, tutto,
forse troppo. Ma pochi hanno constatato il dato più elementare della sua scelta
ideologica e culturale: l’italianità come segno di profonda e permanente
contraddizione. La destra e la sinistra non contengono l’esperienza
pasoliniana, che non fu straordinaria sul piano poetico, anche se la sua lingua
è scarna e gloriosa a tratti (con una perla di rara bellezza, L’usignolo della Chiesa cattolica, una
raccolta di versi interamente dominata dalla figura della Madre); fu
altalenante e non sempre convincente sul piano filmico e densamente innovativa
su quello letterario. Anche la sua saggistica è intrisa di genio italico,
almeno quanto quella di Roland Barthes di grandeur francese, seppur celata tra
le pieghe della gigantesca erudizione.

Ma in cosa Pasolini convince di più gli italiani di oggi?
Gli italiani appartenenti al ceto medio, alle classi medie, al popolo nel senso
meno demagogico del termine? Una cosa innanzitutto: il suo essere antiborghese.
Infine anche antiliberale, certo, più vicino a Ezra Pound che al primo
nazionalismo crociano, non c’è dubbio. Un arcitaliano antiborghese e geniale, profondo
nei sensi intellettuali e nella costruzione di parole per la nostra gente:
domandiamoci, infatti, perché egli andasse giù piatto, di brutto, contro gli
studentelli sessantottini? Apostrofandoli senza pietà alcuna, conferendo loro
la patente assoluta di ignoranti, ignoranti assoluti, incapaci di intendere e
volere, alla mercè del neocapitalismo? Semplice e attualissima la ragione:
perché in quella gente stravaccata sulle scale e perdigiorno c’era tutta
l’anti-italianità possibile, il borghesismo deteriore, del lusso da faccendieri
senza cultura e senza onore. Insomma, il compagno Pasolini sembra qui un
camerata e in fondo si tratta della stessa persona e si tratta dello stesso
fenomeno. Quei giovani facevano dell’ignoranza un’ideologia, ecco l’accusa che
leggiamo nell’intervista-racconto a Jean Duflot, un’opera che si estende per
sei anni, intitolata “Il sogno del Centauro”.

La modernità di Pasolini è drammatica e qui la si coglie
perfettamente nell’atto della genesi dei suoi pensieri antiborghesi. A Pasolini
fa schifo la borghesia del neocapitalismo, perché non è più la borghesia
esaltata da Marx ed Engels nel “Manifesto” del 1848, è ormai un’altra cosa. Da
disprezzare, perché partorisce la dissoluzione dell’etica del lavoro, della
famiglia laboriosa e virtuosa, della fede come rappresentazione di un mondo
plurisecolare. Ecco, questi tratti pasoliniani, raramente visitati, sono di
un’attualità impressionante e circolano dappertutto nel mondo occidentale.
Penso ad un sociologo e filosofo non classificabile negli schemi consueti di
destra e di sinistra come Lasch, un pasoliniano di razza. Ecco, c’è in questo
approccio alla realtà qualcosa che dovrebbe essere ripreso e coltivato: l’amore
per la verità e la cultura di un popolo, ma insieme la gratitudine per ciò che
è accaduto nella storia del mondo occidentale, molto amato da Pasolini, che non
aveva alcuna simpatia terzomondista. E’, questo, un sincero moto dello spirito
e dell’intelligenza che riapre la partita con il proprio mondo, al di fuori
delle ideologie correnti. Fino al punto di ritrovarsi, oggi, con Sarkozy
critico roccioso del Maggio francese. Il politicamente non corretto ha qui la
sua radice nell’appartenenza ad un popolo ed alla sua storia, non è meramente
un’estroversione estetizzante dello spirito. Ecco, questa è la lezione
pasoliniana che dovremmo fare nostra, oggi. Senza temere di uscir fuori dagli
schemi che altri ci stanno cucendo addosso. Perché il politicamente non
corretto è un’esperienza vitale e riguarda pensieri, emozioni e storie ben precise.
E’ un’avventura%2C esattamente ciò che mai è stato il Sessantotto, figlio stanco
e malato del borghesismo decadente e ancillare.