La caduta di Segolène e gli sbagli della sinistra francese
04 Ottobre 2007
A meno di cinque mesi dall’elezione presidenziale di Nicolas Sarkozy, la sua principale sfidante Segolène Royal, per lunghi mesi in testa ai sondaggi, sembra destinata ad un declino inesorabile.
Gli ultimi sondaggi Ipsos-Le Point e Ifop-Paris Match la collocano al ventitreesimo posto come personalità politica francese più popolare. Se dall’opinione pubblica generale si passa ai simpatizzanti della gauche la situazione non migliora: solo il 42% degli intervistati la considera il leader politico francese più popolare, distanziata di oltre 18 punti dall’attuale sindaco di Parigi Bertrand Delanoe. Anche tra gli iscritti del solo Ps il dato non cambia e il sindaco bobos precede l’ex candidata all’Eliseo. Dunque la «Marianna francese», che tanto aveva infiammato la sinistra italiana, è destinata a rientrare nei ranghi e occuparsi dell’amministrazione regionale del Poitou-Charentes?
Dopo le voci estive riguardo a una futura candidatura alla guida del partito (nel 2008 il congresso straordinario dovrà giudicare, dopo 10 anni, se la leadership dell’ex compagno di Royal, Hollande, è giunta al capolinea), Royal si è progressivamente eclissata dal centro del dibattito politico transalpino, se si eccettua il recente intervento dalle colonne di Le Monde (02-10-2007) per criticare la supposta incoerenza della politica estera di Sarkozy (proprio sulla politica estera Royal aveva dato dimostrazione del suo dilettantismo politico nel corso della campagna elettorale). Lontana dal dibattito politico ma al centro di quello editoriale, visto il fuoco di fila proveniente dal fronte socialista. Tra i tanti pamphlet polemici nei confronti degli errori della candidata socialista, ne spicca però uno, per l’autorevolezza del suo autore e per l’importanza dei contenuti. Si tratta de L’impasse (Flammarion, 2007) dell’ex Primo Ministro socialista Lionel Jospin, grande sconfitto delle elezioni presidenziali del 2002 ed emblema dell’apparato socialista tradizionale che sin dalla prima ora si è battuto contro la candidatura Royal.
«Royal non mi è mai sembrata in grado di condurci alla vittoria e non ha mai mostrato di possedere le caratteristiche giuste per svolgere al meglio la funzione presidenziale […]. La ragione fondamentale del fallimento di Royal è da cercare nel suo profilo. Riguarda la sua personalità. La sconfitta era inscritta nel suo stile di campagna elettorale così come nelle sue scelte politiche». Bastano queste poche righe per descrivere il tono ultimativo e tranchant delle critiche rivolte da Jospin a Royal. Se ci si ferma però a questo livello si può finire per liquidare il pamphlet come lo sfogo rancoroso di un «grande vecchio» del partito, pronto a sparare sul bersaglio più semplice e facendo di Royal il capro espiatorio di un ventennio di immobilismo ideologico e programmatico. La breve e densa analisi di Jospin è invece utile perché nella sua pars destruens è una disamina degli errori storici della sinistra francese e nella sua pars construens è la dimostrazione di come la gauche transalpina (ma qui il discorso si può allargare anche a quella italiana), a differenza di quella inglese e tedesca, non sia ancora in grado di portare a termine il suo aggiornamento politico-ideologico e strategico.
Innanzitutto la parte di critica a Royal, piuttosto centrata. Incapace di fornire risposte chiare e coerenti alla crisi dello stato sociale, al mix di rischi/opportunità rappresentato dall’apertura dei mercati alla globalizzazione e alla fine del mondo diviso in due blocchi, il socialismo francese si è gettato nelle braccia del candidato che più sembrava in grado di sfruttare il populismo strisciante, ben simboleggiato dal «no» referendario sul Trattato costituzionale. Royal non ha fatto altro che utilizzare i media e l’immagine in chiave antipartitica e antipolitica contro l’apparato del suo partito. L’esito è stato una vittoria schiacciante nelle primarie interne al fronte socialista, ma una volta conquistata la leadership del suo campo politico sono emerse tutte le carenze sui singoli dossier. Royal si è fatta allora sottrarre dallo sfidante di centro-destra i temi del lavoro, della sicurezza e dell’integrazione. E in generale non è stata in grado di cavalcare il desiderio di cambiamento che il Paese da tempo aveva mostrato.
Se dunque la parte di critica a Royal rappresenta uno dei rischi ai quali è sottoposta la sinistra europea in questo inizio di XXI secolo, la rincorsa della «democrazia d’opinione» e dell’antipolitica (il caso Beppe Grillo in Italia docet), la possibile via d’uscita proposta da Jospin è a dir poco sconfortante. Secondo l’ex Primo Ministro (1997-2002) bisogna ripartire dall’alleanza di tutta la sinistra, socialista, comunista, verde e trokzista attorno ad un nuovo partito forte, programmaticamente strutturato e vero e proprio strumento di conquista dell’Eliseo. Questa proposta, di antico sapore mitterrandiano, è lo specchio della seconda deriva della sinistra europea, ben conosciuta in Italia, dal momento che sta mostrando tutti i suoi esiti nefasti nella incoerente maggioranza che sostiene il governo Prodi. Un recente studio sociologico ha mostrato che in Francia esistono almeno quattro sinistre. Una definita «liberal-autoritaria», molto vicina alle posizioni del Presidente in carica, una «social-liberale», ora orfana del suo leader, Dominique Strass-Kahn fresco Presidente del Fmi. Una terza «statalista», per il momento asse portante del Ps e una quarta «antiliberale», assimilabile alla sinistra radicale. Ebbene su questi quattro pilastri il nuovo segretario del Partito socialista francese dovrà costruire la nuova coerenza interna e preparare una valida alternativa alla rupture sarkozista.
Quanto a contraddizioni, verrebbe da dire, sinistra francese e sinistra italiana non sono poi così distanti. Si consoli il futuro leader del Pd, per una volta, forse, l’erba del vicino «non è sempre più verde!»