La Cai è cara ma speriamo che voli bene e attiri un partner di livello

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

La Cai è cara ma speriamo che voli bene e attiri un partner di livello

La Cai è cara ma speriamo che voli bene e attiri un partner di livello

04 Dicembre 2008

Un’analisi dell’Istituto Bruno Leoni



(PDF) riapre il dibattito sui costi della "privatizzazione" dell’Alitalia. Lo studio, curato da Andrea Giuricin, fellow dell'IBL sostiene che "contrariamente a quanto affermato dal Commissario Augusto Fantozzi, il debito del gruppo Alitalia è di 3,8 miliardi di euro, di cui ben 3 miliardi in capo alla stessa Alitalia. L'offerta Cai consiste di circa 1,05 miliardi di euro e il Commissario ha detto di poter ricavare altri 600/700 milioni di euro dalla vendita degli altri asset. I crediti non recuperabili sono quindi superiori a 2 miliardi di euro come anche lo stesso Istituto Bruno Leoni aveva stimato ad inizio settembre".

A questi costi si aggiungono i numerosi regali disseminati sulla strada per CAI, e le interpretazioni delle norme per consentire il passaggio di Alitalia nelle mani della cordata. Secondo Giuricin, "il costo del fallimento con una procedura trasparente senza trattativa privata sarebbe stato molto inferiore ai 7 miliardi di euro che nel complesso costa la soluzione “"all'italiana" adottata .Secondo Giuricin: "è stato commesso infatti un grave errore nella legge di conversione del decreto legge 133/2008, la cosiddetta <Salva Alitalia>" nella legge 166/2008 da parte del Parlamento. Secondo l'articolo 1 comma 10, CAI prende la licenza di Alitalia; tuttavia in questo modo non c'è discontinuità aziendale e quindi il nuovo operatore dovrà farsi carico di tutti i debiti Alitalia, cioè i 3,8 miliardi di euro."

I calcoli sono certamente accurati ma qualche dubbio in merito alla dimostrazione giuridica della continuità aziendale (tra l’ex-compagnia di bandiera e la nuova aviolinea italiana) che verrebbe offerta dalla norma secondo cui la licenza passa da Alitalia alla Cai è legittima. Molto probabilmente si tratta di una di quelle questioni di lana caprina che possono fare discutere legulei e barracuda-esperti per anni- sino a quando il progresso tecnologico avrà verosimilmente cambiato lo scenario di base del trasporto aereo. Sono anche d’accordo con Giuricin che a fine 2006 (quando iniziò il complicato ed inconcludente “beauty contest” organizzato dal Governo Prodi) sarebbe stato molto più conveniente passare tramite una procedura fallimentare e la vendita delle attività di Alitalia (aerei, immobili, slot) al maggiore offerente (verosimilmente o AirFrance-Klm o Lufthansa). Anzi, avrebbero dovuto farlo diversi anni prima i Governi D’Alema ed Amato nel 1998-2001. Da allora, però, (ed anche dal dicembre 2006) molto acqua è passata sotto i ponti. E soprattutto, lo scenario della navigazione aerea è cambiato. Il mutamento è rapido, come suggeriscono le insistenti voci di una fusione Bristish Arways-Iberia-American Airlines (già coniugate) e Qantas.

Occorre porre la Cai ed i costi finanziari sui contribuenti pertinenti al suo decollo nel contesto di ciò che sarebbe verosimilmente avvenuto se la cordata non si fosse costituita e chiedersi quali sarebbero state le opzioni reali (in termini di opportunità e di minacce) per il Paese. Si tratta di costruire quelli che esperti di strategia (e di “intelligence” – modo elegante per chiamare lo spionaggio) definiscono “scenari controfattuali” (ossia “ciò che sarebbe avvenuto se…..). Noi economisti non siamo particolarmente bravi a costruire “scenari controfattuali “. Gli esperti di finanza lo sono ancora meno; (la prova si ha nella crisi finanziaria mondiale). Sia gli economisti sia gli uomini di finanza sono, in questo campo,  meno dei militari e delle spie.

Possiamo, però, azzardare alcune ipotesi, prendendo l’avvio dalla situazione come si presentava la primavera scorsa dopo l’”adieu” di AirFrance-Klm di fronte all’oltranzismo sindacale. Lo scenario controffattuale più verosimile era il fallimento seguito dalla svendita degli assetts proprio a AirFrance-Klm oppure il loro spezzatino di qua e di là con una perdita di almeno 30.000 posti di lavoro (solamente nel Lazio) ed altri 10-15.000 altrove in Italia (includendo ovviamente l’indotto). Sarebbe stato ciò fattibile, con un Governo appena insediato, e radicate tendenze interventiste nella società italiana? Oppure avrebbero finito per averla buona i fautori di ulteriori salvataggi se non di una nuova nazionalizzazione o della cessione di Alitalia a qualche cooperativa di piloti, assistenti di volo ed altro personale?

A chi faceva presenti gli alti costi dell’istruzione a Marc Blondel, leader del sindacato anti-comunista Force Ouvrière, il nostro rispondeva il costo economico e sociale dell’ignoranza è verosimilmente ancora di più. Analogamente la Cai è cara – e forse un giorno AirFrance-Klm ne sarà l’azionista di riferimento. Ma ci siamo bruciati tra il 1998 e il 2001 opzioni economiche reali molto meno care per poi fare un pasticciaccio nel 2006 con Prodi. Ed oggi non ci resta che sperare che voli bene ed attiri un partner industriale di livello.