La campagna elettorale americana vista da Israele non è quella dei sondaggi

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La campagna elettorale americana vista da Israele non è quella dei sondaggi

15 Ottobre 2008

Il retorico sostegno pre-elettorale non inganni: la presidenza Obama e quella McCain si muoverebbero su direttrici ampiamente divergenti nei riguardi di Israele. Parola di Michael Oren che ha messo sotto la lente di ingradimento accademica  le dichiarazioni sul Medio Oriente degli ultimi anni dei due candidati, giungendo a conclusioni largamente condivise nell’establishment politico e militare israliano, che fa segretamente ma non troppo il tifo per il senatore dell’Arizona pur sapendo che le sue chance di vittoria sono deboli.

Secondo Oren, membro di spicco dello “Shalem center”, un autorevole istituto di ricerca di Gerusalemme, Obama e McCain hanno diverse filosofie sull’origine del conflitto mediorientale. Obama aderisce alla scuola di pensiero del Dipartimento di Stato che ha molti adepti, secondo cui la questione palestinese è la madre di tutti i conflitti e una sua soluzione produrrebbe effetti a catena positivi anche sugli altri fronti regionali; McCain, al contrario, ritiene che l’Islam radicale è all’origine del terrorismo e della guerra, e sconfiggerlo è la conditio sine qua non per promuovere la pace.

Se l’analisi di Oren fosse corretta, una volta alla Casa Bianca Obama eserciterebbe  maggiori pressioni su Israele, per indurlo a concessioni, e mostrerebbe tolleranza zero nei confronti dell’espansione degli insediamenti ebraici: una linea destinata a produrre tensioni tra i due alleati, specie nella prospettiva di un governo di destra a Gerusalemme. John McCain invece non si discosterebbe dalla linea di sostanziale non interventismo del presidente Bush: l’intesa tra israliani e palestinesi va favorita ma non a detrimento del rapporto con un alleato, Israele, considerato strategico per gli interessi americani nella regione.

Israele segue con comprensibile apprensione le posizioni dei due candidati sul programma nuclerae iraniano, percepito come una minaccia esiziale. E’ vero, i due candidati usano più o meno le stesse parole per dire che Ahmadinejad va fermato. Ma le ricette sono sensibilmente diverse: Obama intende usare le armi della diplomazia, il bastone di sanzioni incisive ma anche la carota di un negoziato senza precondizioni. McCain, invece, sul solco di Bush, non crede che parlare con un nemico giurato dell’Occidente possa produrre alcun risultato e, una volta esaurita l’opzione sanzioni, sarebbe assai più incline ad autorizzare un’azione militare ritenendo che un Iran con la Bomba minaccerebbe non solo l’esistenza di Isarele ma l’intero sistema di alleanze americane nella regione.

Con l’occhio rivolto alle urne – Obama non sfonda il muro del 65 per cento del voto ebraico, contro l’80 per cento che tradizionalmente va al candidato democratico – entrambi i  contendenti  hanno compiuto una visita in Israele; entrambi si sono recati a Sderot, la città in prima linea a causa della sua vicinanza alla Striscia di Gaza; entrambi hanno usato le parole giuste per sostenere Israele e condannare chi è votato alla sua distruzione, Hamas, Heyzbollah, e dietro di essi, l’Iran. Eppure non c’e’ dubbio che il cuore della maggioranza degli israliani – e non solo quello dell’establishment – batte per McCain. La politica c’entra fino ad un certo punto: il senatore dell’Arizona è un ex pilota di caccia, un eroe di guerra, in altre parole, uno come i migliori di loro.