La Carmen sfregiata dal politicamente corretto

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La Carmen sfregiata dal politicamente corretto

09 Gennaio 2018

Georges Bizet si sarà rivoltato nella tomba. Quello che sono riusciti a fare della sua “Carmen” è stato uno scempio. Il sovraintendente del Maggio Musicale, Cristiano Chiarot, ha avuto l’idea di portare in scena, proprio per la prima al celebre teatro fiorentino, una versione “creativa” della centenaria opera del compositore francese, un copione adattato ai temi imposti dalla ottusa dittatura culturale del politicamente corretto.

L’ambientazione è diventata un campo rom, non la Siviglia dell’Ottocento, e don Josè, il caporale a cui Bizet assegnò il drammatico ruolo dell’uomo che, impazzito d’amore e di gelosia, uccise la zingara Carmen, è un violento poliziotto. Cambiato, soprattutto, è finale: sul palco del teatro fiorentino è don Josè che muore per mano di Carmen, a colpi di pistola (e sembra che durante la scena l’arma – strano scherzo del destino – si sia pure inceppata).

A ispirare la rivisitazione moderna del libretto è stata la musa del pensiero dominante, quella che porta alla ribalta dell’attualità politica e culturale dei giorni nostri, ormai, sempre i soliti temi, quelli che la sinistra ha ben imparato a trasformare in ipocriti cavalli di battaglia. E’ dunque in nome della lotta contro il femminicidio e la violenza sulle donne che si è consumato questo scempio. Stravolgere la trama di una storia che, per secoli, ha fatto conoscere al pubblico le potenti vibrazioni dell’amore e della passione, è come ficcare la punta di una matita in una tela del 1875 e strapparla. Difficile immaginare uno sfregio all’arte più grave di questo, un adattamento più sfacciato e strumentale. Neppure la Boschi e la Boldrini, forse, avrebbero mai osato tanto.

Il pubblico non ha gradito (e non era scontato), anzi, si è ribellato, disgustato, sollevando un’ondata di fischi. Tra i plausi, neanche a dirlo, quello del sindaco di Firenze, il renziano Dario Nardella, che giustifica l’obbrobrio dicendo che è “un messaggio culturale, sociale ed etico”. C’è modo e modo di portare l’attualità in palcoscenico, di tradurre in arte i problemi del nostro tempo (ce ne sono tanti, a parte il femminicidio), e nessuno vieta di farlo. Ma quell’opera sul cartellone del Maggio Musicale, sia chiaro, non può essere chiamata “Carmen”. Negarlo equivale ad “appropriazione indebita” di un bene prezioso come il genio musicale di George Bizet.

Come ironicamente fa notare Antonio Socci, “in attesa che la classe dirigente renziana censuri anche la Divina Commedia”, bisognerebbe piuttosto riflettere sui dati veri dei femminicidi e della violenza contro le donne in Italia, che sono mano allarmanti che nel resto d’Europa. I delitti di cui le donne sono vittime, anzi, sono in diminuzione. Che bisogno c’era, dunque, di scomodare “Carmen” per vendicarle?