La “casa”, la famiglia, la caccia. Un bilancio sulla fine di Bin Laden

Banner Occidentale
Banner Occidentale
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

La “casa”, la famiglia, la caccia. Un bilancio sulla fine di Bin Laden

04 Maggio 2011

Un fatto è certo, la guerra non è finita: il terrore attende un nuovo re. Ma attenzione, al-Qaeda non è un’organizzazione terroristica centralizzata e non dipende da un solo uomo. Non morirà con il suo leader. È presente in tutto il mondo, animata da piccole cellule autocefale pronte a colpire in maniera indipendente. La fede non si uccide. A circa due giorni dalla morte di Osama Bin Laden è tempo di bilanci. Parliamo di Pakistan. Ormai è chiaro che non potevano non sapere. Si fa fatica a credere che Osama Bin Laden sia rimasto per sei anni nella cittadella militare di Abbottabad, senza essere notato in giro. Qui sorge la Military Academy, la West Point pakistana, dove gran parte delle proprietà appartengono direttamente a uomini dell’esercito, o dell’Isi (i servizi segreti). Un fatto è certo, se lo hanno protetto allora sono complici. E la questione va approfondita.

Ci sono testimoni che possono aver visto chi faceva visita allo sceicco, con quale frequenza e per quale scopo? Che ha lavorato lì? Chi ha installato i sistemi di sicurezza? Chi ha progettato la casa, che sembra essere stata costruita appositamente per proteggere Bin Laden? Come è stato acquistato il terreno e da chi? Che possedeva il terreno sul quale è stata costruita la casa? Sono tutte domande che rischiano di rimanere senza risposta, perché, in fondo, non si può fare a meno di Islamabad. C’è una exit strategy da gestire. In questo modo si rischia però di offrire, a tutti gli alleati del grande Medio Oriente, un precedente pericoloso. I servizi deviati pakistani prendono rischi che altri si sognerebbero di correre. I generali si sentono al sicuro. Nessun cambiamento di regime stile primavera araba attecchirà nel Paese, senza un appoggio occidentale. Almeno per ora. Un’indagine trasparente sembra improbabile.

Altro aspetto interessante di tutta la faccenda riguarda la famiglia Bin Laden. Chi viveva con lo sceicco. Un tema solo sfiorato dai media fin ora. I rapporti iniziali indicano che viveva con la moglie più giovane. Bin Laden ha sempre vissuto circondato dalla famiglia e dai bambini, quindi non è sorprendente che sia riuscito a farlo anche da fuggitivo. Si sposa almeno quattro volte. La sua prima moglie era una cugina e veniva dalla Siria. La seconda e la terza sono saudite. Tutte e tre lasciano lo sceicco poco dopo gli attacchi alle Torri Gemelle. Da allora non hanno più sue notizie. La sua quarta moglie è una specie di moglie per corrispondenza nata in Yemen, che sposa mentre si trova in Afghanistan negli anni Novanta. Osama ha più di una dozzina di figli. Alcuni sono tornati in Arabia Saudita, ma altri sono apparsi in video con il padre, promettendo di combattere al suo fianco. È concepibile che uno dei suoi figli possa reclamare la leadership dell’organizzazione negli anni a venire. Un nome su tutti: Saad Bin Laden.

Infine, la conduzione della caccia. Il presidente Obama, insieme al direttore della Central Intelligence Agency, Leon Panetta, organizza un team di analisti che si dedicano senza sosta alla ricerca di Osama Bin Laden. È il 2009. La squadra lavora a Langley senza sosta. Alcuni di loro inseguono Bin Laden dagli anni novanta. Altre unità di analisi offrono un appoggio dal Comando Centrale, a Tampa e dalla International Security Assistance Force di Kabul. Quest’ultimi, insieme ad ufficiali della Cia, seguono le tracce dello sceicco sul campo: relazioni tra i terroristi, corrieri, semplici indizi. Risultano fondamentali gli interrogatori e le torture inflitte ai jihadisti detenuti in Iraq, in Afghanistan, a Guantanamo. La caccia all’uomo, quella sì, è conclusa.