La Cgil rompe con Brunetta  ma forse è meglio così

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La Cgil rompe con Brunetta ma forse è meglio così

29 Maggio 2008

L’abbandono da parte della CGIL del tavolo di confronto convocato del Ministro Brunetta sulla riforma della pubblica amministrazione è una pessima ma al tempo stesso un’ottima notizia.

Una pessima notizia, perché dimostra quanto forti saranno le resistenze che il Governo incontrerà nel tentativo di mettere davvero le mani su un settore, il pubblico impiego, che sinora si è riuscito a sottrarre a tutti i tentativi di riforma che si sono succeduti negli ultimi 15 anni. Anzi, da ogni tentativo di riforma, Cassese, Bassanini, Frattini, le potenti lobby sindacali sono riuscite a ricavare guadagni in termini di aumento del proprio potere di interdizione e delle proprie rendite.

Il tema della riforma della P.A. è uno di quelli che non infiamma la pubblica opinione (al di là delle superficiali campagne della premiata ditta “Stella & Rizzo”) ma che rappresenta il nodo vero di ogni politica di rilancio della competitività del Paese. Di fronte ad un moloch di 3,5 milioni di addetti (al quale devono essere aggiunti circa 800.000 “precari"), di fronte ad una spesa pubblica corrente per larga parte rappresentata da pensioni e da stipendi dei pubblici dipendenti, di fronte ad un andamento delle retribuzioni pubbliche del tutto sganciato dall’andamento dei salari dei dipendenti privati, di fronte ad un apparto burocratico che rappresenta il principale fattore ritardo del Paese in tutte le classifiche internazionali, non occuparsene sul serio è come chiudere gli occhi per non essere visti.

La scelta aventiniana della CGIL può però rappresentare una buona notizia nella misura in cui introduce un salutare bagno di verità.

Lo scontro con Brunetta è intervenuto su un punto di natura meramente procedurale, apparentemente secondario. La CGIL infatti rivendicava il proprio diritto di partecipare alla consultazione con una rappresentanza al “gran completo”, nella quale fossero presenti tutti i responsabili delle numerose federazioni del pubblico impiego. Brunetta pretendeva rappresentanze snelle in cui ciascuna confederazione fosse rappresentata da un solo responsabile. In realtà, dietro la pretesa delle CGIL (del tutto immotivata dal punto di vista formale atteso che non si trattava di negoziare i contratti di ciascun comparto ma solo di acquisire le generali valutazioni sindacali sulle strategie del Governo di riforma dell’amministrazione) si nasconde il desiderio di preservare quell’insieme di regole non scritte e di prassi consolidatesi negli anni che hanno in via di fatto instaurato un regime di cogestione sindacale sul pubblico impiego. Cogestione non limitata unicamente ai profili strettamente sindacali delle previsioni economiche e normative dei contratti collettivi, ma estesa anche alle decisioni organizzative che le amministrazioni, in quanto datori di lavoro, dovrebbero poter assumere unilateralmente, al massimo informando preventivamente il sindacato.

In tal modo, il sindacato è sinora riuscito ad impedire ogni serio tentativo di riforma del settore e, al tempo stesso, a preservare la propria pletorica organizzazione burocratica ed il proprio formidabile insediamento amministrativo: oltre tremila dipendenti pubblici, pagati dal contribuente, che a tempo pieno fanno i sindacalisti, promozioni e progressioni economiche sostanzialmente cogestite dal sindacato, uffici del personale diretti da persone gradite al sindacato quando non direttamente sindacalisti, l’Agenzia per la rappresentanza delle pubbliche amministrazioni (ARAN) ridotta a dependance del sindacato, contratti integrativi che riconoscono generosi aumenti del tutto slegati dagli incrementi di produttività e che derogano alle previsioni dei contratti nazionali quando non della stessa legge.

Come si vede, il problema è assai più ampio e complicato di quanto dicano le rituali denunce sui fannulloni. Se pure si riuscisse a licenziare qualche decina di dipendenti pubblici assenteisti, che durante l’orario di servizio vanno a fare la spesa, ciò sarebbe forse sufficiente a placare il desiderio di “vendetta” di un’opinione pubblica esasperata, ma lascerebbe del tutto immutata la sostanza dei problemi. Hic Rhodus, hic salta! La sfida di Brunetta è difficile ma, contemporaneamente, è ineludibile. Auguri Ministro!