La Cina continuerà a crescere ma la paura della crisi non è passata
16 Settembre 2009
di redazione
Intervenendo al World Economic Forum che si è aperto giovedì scorso a Dalian, nel nord della Cina, Wen Jiabao ha spiegato come le misure di stimolo da quattro mila miliardi di yuan (circa 400 miliardi di euro), adottate lo scorso novembre, abbiano avuto un effetto positivo sull’economia di Pechino. Jiabao ha infatti definito gli sforzi per sostenere la crescita del PIL cinese “tempestivi, efficaci e imponenti”. Ma il premier non ha voluto (non potendo) ignorare anche le difficoltà che il Paese è costretto ad affrontare, aggiungendo che la ripresa resta “unstable” e servirà, quindi, del tempo prima che diventi solida.
Innanzitutto, Pechino è ancora alle prese con grandi pressioni a causa del rallentamento globale, e proprio per questo deve far attenzione a ogni tipo rischio, in particolar modo quello inflazionistico. Inoltre, l’economia cinese, orientata da sempre a quell’export a cui si deve la crescita esponenziale del Paese negli ultimi anni, ha subito un notevole impatto per il calo della domanda dall’estero. Da ultimo, sta adesso al governo cinese incrementare il consumo domestico, ancora troppo debole.
Pechino ha già pronta la soluzione e cioè una “crescita economica stabile e veloce”. Obiettivo difficile, ma non impossibile, per chi, mentre il resto del mondo arrancava davanti alle politiche economiche da adottare in piena crisi, faceva “shopping” in Europa e soprattutto in Germania. Wen Jiabao ha previsto che entro l’anno il PIL del paese potrà crescere fino all’8 per cento. Risultato più che soddisfacente, considerando come già nel secondo trimestre del 2009 il prodotto interno lordo fosse salito al 7,9 per cento, superando (e non di poco) il 6,1 dei tre mesi precedenti. Per far questo, l’agenda di Pechino non prevede, almeno per il momento, alcuna inversione di rotta.
Il governo continuerà ad applicare una politica fiscale espansiva e una politica monetaria “moderatamente” espansiva, si impegnerà a creare un numero maggiore di posti di lavoro, e si opporrà a qualsiasi forma di protezionismo sociale. Wen dovrà far fronte anche al dibattito che negli ultimi mesi ha cominciato a diffondersi in Cina fra esperti e non soltanto. Da una parte c’è chi considera l’intervento del governo come necessario per la ricostruzione, ad oggi ancora insicura e traballante, dall’altra, invece, chi si preoccupa per gli effetti che potrebbe avere un ulteriore accelerazione dello stimolo, e cioè l’aumento dell’inflazione e la creazione di bolle finanziarie. Un dibattito dove sono in molti, fra l’altro, a considerare il traguardo dell’8 per cento come la crescita minima per evitare tensioni sociali.
Wen Jiabao può contare sugli ultimi dati ufficiali pubblicati venerdì scorso dall’Ufficio Nazionale di Statistica. Buone notizie arrivano infatti da Pechino. La produzione industriale è aumentata del 12,3 per cento rispetto a un anno fa, segnando un rialzo del 10,8 sul mese precedente. Gli investimenti nelle aree urbane sono cresciuti nei primi otto mesi dell’anno del 33 per cento, la vendita al dettaglio ha raggiunto il 15,4 in più rispetto al giugno scorso, mentre i costi della produzione sono calati del 7,9 per cento. Anche il rischio inflazione sembra fare meno paura, ora che l’indice dei prezzi al consumo è diminuito dell’1,2 rispetto all’agosto del 2008.
Una condizione apparentemente limpida quella dell’economia cinese, seppur con qualche incongruenza. La più evidente riguarda la guerra di cifre fra ministeri e think-thank del governo sui numeri della disoccupazione. Secondo il “Green Book of Population and Labour”, rapporto pubblicato ogni anno dall’Accademia Cinese di Scienze Sociali, la crisi globale ha avuto sull’economia del paese conseguenze piuttosto preoccupanti. Sarebbero 41 milioni i cinesi che hanno perso il lavoro e 23 milioni quei connazionali ancora in cerca di un’occupazione. Dati da far tremare il regime. Anche se, pare che non sia così. Per il ministero della Sicurezza Sociale e Risorse Umane, infatti, i disoccupati sono “soltanto” 16,5 milioni. Difficile stabilire quale sia il dato che rispecchia ufficialmente la realtà. Certo è che le ultime dichiarazioni del ministro Yin Weimin, per cui “a livello nazionale la situazione occupazionale rimane grave”, non sono affatto confortanti.
Disoccupazione, inflazione, e calo dell’export, queste le paure attuali che si concretizzano nell’ennesima sfida per l’economia cinese. Tanto che il premier Wen Jiabao è arrivato persino a smorzare i toni polemici adottati nei confronti del modello finanziario occidentale durante il Forum Economico Mondiale di Davos, nel gennaio scorso, sottolineando la necessità di una “cooperazione a tutto campo, dalle politiche economiche alla lotta al protezionismo”. Proposito ineccepibile, che rispecchia in parte la tesi per cui la Cina, uscendo insieme agli altri paesi dalla crisi, avrebbe svolto un ruolo da locomotiva. E proprio contro il protezionismo sembrano essere dirette le ultime polemiche con gli Stati Uniti, dopo che l’Amministrazione Obama ha deciso di imporre dazi sui pneumatici e sull’acciaio made in China. La reazione di Pechino non si è fatta attendere, ha definito la scelta di Washington una “grave misura di protezionismo commerciale” e ha annunciato di riservarsi “il diritto di decidere ulteriori risposte” e ricorsi all’interno dell’Organizzazione mondiale del commercio. Pronti per scrivere un nuovo capitolo dell’economia cinese.