La Cina guida l’Onu. Ma chissà dove?

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La Cina guida l’Onu. Ma chissà dove?

03 Ottobre 2008

Una notizia ombra. I giornali occidentali non se ne stanno occupando, quelli cinesi pubblicati in lingua inglese non danno la minima rilevanza alla cosa, impegnati come sono nelle celebrazioni per il 59° anniversario della Repubblica popolare, i burocrati di Pechino tacciono astuti. Insomma, nessuno ha capito come si comporterà la Cina dallo scranno più alto del Palazzo di Vetro.

Certo per le oligarchie cinesi è un momento d’oro. Prima le faraoniche Olimpiadi, poi la passeggiata nello spazio degli astronauti del “Vascello Celeste” Shenzhou VII, ora la presidenza del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Un trittico da far girare la testa. E’ vero, la presidenza di turno è a rotazione mensile tra i membri permanenti e non, e l’Onu è ormai – o forse, da sempre – non più di una sorta di club internazionale, che anziché assumere il ruolo di super-poliziotto del mondo ha finito per fare il vigile urbano e al più comminare qualche multa, spesso non pagata. Ma il Consiglio di Sicurezza è pur sempre una vetrina scintillante.

E se in vetrina la merce va esposta, quella cinese purtroppo è spesso di dubbia qualità. I temi più caldi nell’agenda internazionale, raccolti in un position paper da parte del governo di Pechino e recapitati nei giorni scorsi al presidente dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite Miguel d’Escoto, sono celati dietro la coltre polverosa del linguaggio perbenista, di cui anche le dittature fanno ormai largo uso. Nulla di nuovo e molte banalità, alle quali ormai la diplomazia onusiana ci ha abituato: rafforzamento dei trattati di non proliferazione, smilitarizzazione dello spazio, rafforzamento della presenza africana in sede di Consiglio e nelle operazioni di peacekeeping, rispetto del Protocollo di Kyoto, impegno per la sicurezza alimentare e per la lotta alla povertà, indivisibilità di diritti civili e diritti sociali. Insomma, tutto bene, Madama la Marchesa? Mica tanto.

Le scatole non per nulla si chiamano cinesi. E allora ecco che la benevolenza verso l’Africa è la cartina di tornasole di contratti milionari per lo sfruttamento delle sue risorse minerarie – a cominciare dal petrolio, le cui commesse sul continente sono a quasi totale vantaggio di PetroChina, Sinopec e Cnooc – e della sua manodopera a basso costo (anche la Cina delocalizza…), mentre il Protocollo di Kyoto è diventato la scusa pronta all’uso dei fautori del disimpegno, con Cina e India in testa tra coloro che ne invocano il rispetto a patto che prima inizino a farlo gli altri. Per non parlare della sicurezza alimentare, le cui tragiche mancanze sono ben visibili nei giorni dello scandalo del latte alla melamina, o dei diritti umani, la libertà religiosa costantemente calpestata e le esecuzioni capitali ormai salite alla quota spaventosa di dieci mila l’anno. Non è tutto oro quello che luccica, quindi.

Perché oltre ai problemi interni di carattere economico e sociale, acuitisi da quando capitalismo e comunismo convivono nello stesso corpo, a livello globale “l’Impero di Mezzo” dovrebbe affrontare, da presidente del Consiglio di Sicurezza, dossier “scivolosi” come quello iraniano, sul quale non è chiaro se Pechino farà spallucce alla Russia nel sostegno al regime degli ayatollah per spaccare il fronte americano nella guerra in Afghanistan, o assumerà posizioni più rigide, dovendo affrontare a sua volta i movimenti indipendentisti (terroristi, per il Pcc) uiguri dello Xinjiang e quelli tibetani. O quello sulla non proliferazione e la smilitarizzazione dello spazio, proprio adesso che la Cina lo ha conquistato e annunciato un programma per andare sulla Luna, e che Usa e Russia hanno ripreso a tenersi d’occhio a suon di missili. O, infine, quello sulle crisi perpetue che affliggono l’Africa – dal Corno al Ciad, dal Sudan alla Costa d’Avorio – per il quale è quantomeno utopico ritenere che il neocolonialismo mercatista si pieghi alle esigenze del multilateralismo.

Parole al vento, e problemi che rimangono aperti. Sui quali non è pensabile aspettarsi una risposta dal Politburo di Pechino. E finantoché non ci sarà una vera riforma delle Nazioni Unite – che non passa per la mera assegnazione di seggi permanenti all’Unione europea o all’Unione africana – è addirittura irrealistico. Purtroppo anche quando a presiedere il Consiglio di Sicurezza sono le cosiddette democrazie.